Dal primo viaggio a Lampedusa al suo impegno per la pace in Ucraina
Dieci anni. E’ il tempo ormai trascorso da quel 13 marzo 2013 in cui l’attesa fumata bianca – arrivata al sesto scrutinio nella seconda giornata di Conclave – annunciò al mondo, non solo a quello cattolico, che il gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio era il nuovo Pontefice. Ancora non si poteva immaginare quali e quanti cambiamenti Papa Francesco – il primo con questo nome, il primo gesuita, il primo di provenienza dal continente latino-americano, preso “quasi alla fine del mondo” – avrebbe poi apportato negli anni.
Dieci anni, i suoi, caratterizzati da invocazioni, improntati all’essenzialità, alla genuinità e al dialogo. Nel nome di ‘fratelli tutti’, al di là di ogni differenza etnica o culturale. Non sono mancati nemmeno i moniti davanti a tutti i conflitti del mondo – la “terza guerra mondiale a pezzi” – di cui l’ultimo in Ucraina – e di fronte alle tante tragedie, come quella dei morti nel Mediterraneo. Papa Francesco non ha mai avuto paura di affrontare le complessità del mondo offrendo una ‘bussola’ con cui orientarsi nelle contraddizioni del presente.Il suo primo viaggio da Papa fuori dal Vaticano è dell’8 luglio 2013, quando decide di andare a Lampedusa, terra della tragedia ma anche della speranza. Da allora, ci sono stati altri viaggi in luoghi di frontiera: a Betlemme Papa Francesco prega sul muro che divide Israele e Palestina, a Lesbo incontra i profughi, al confine messicano con gli Usa prega con i migranti.
L’8 dicembre 2015 Francesco apre ufficialmente in San Pietro l’Anno Santo straordinario della misericordia. Con un gesto a sorpresa, però, aveva aperto qualche giorno prima la Porta Santa nella Cattedrale di Bangui nella Repubblica Centrafricana, dove si trovava in viaggio apostolico: un momento memorabile, con l’apertura di un Giubileo per la prima volta lontano da Roma. Nel 2016, a Cuba, avviene lo storico abbraccio con il patriarca di Mosca Kirill, chiamato da lui “fratello”: ecco così che nell’aeroporto dell’Avana si verifica l’incontro che le Chiese cristiane d’Oriente e Occidente aspettavano dal grande scisma, nel 1054. “Uniti per la pace”. Un’occasione che, purtroppo, non è stato possibile replicare nei mesi successivi all’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina. Nel 2016, Bergoglio va a Lund, in Svezia, per prendere parte alle celebrazioni per i 500 anni della riforma luterana. Ancora una volta nel nome del dialogo ecumenico.
Il 2018 è l’anno dello scandalo degli abusi sessuali su minori commessi dai religiosi. Tra i gesti più forti di Bergoglio contro la piaga della pedofilia, la convocazione di tutti i vescovi del Cile in Vaticano e, al termine, l’offerta delle dimissioni da parte dell’intero episcopato cileno. Nel 2019, il viaggio ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, rappresenta un fondamentale tassello nel nome del dialogo tra religioni: qui la storica firma del documento sulla fratellanza da parte del Papa e del grande Imam di Al-Azhar. Tra i momenti più simbolici, fissati indelebilmente nell’immaginario collettivo, sicuramente c’è il pomeriggio del 27 marzo 2020: Bergoglio, solo in Piazza San Pietro, prega da solo sotto una pioggia battente davanti al crocifisso miracoloso di San Marcello, che salvò Roma dalla peste del 1600, implorando Dio di fermare la pandemia di Covid. E poi ancora il costante appello alla pace e al disarmo nucleare. L’apertura di nuovi canali di dialogo con la Cina, con l’accordo sulla questione delle nomine dei vescovi. La canonizzazione dell’arcivescovo di San Salvador Oscar Romero, ucciso durante la messa, che ha contribuito alla riconciliazione delle Chiese Sudamericane. La Laudato si’, l’enciclica sociale divenuta punto di riferimento per quanti hanno a cuore il Creato. Grandi e piccoli gesti, talvolta semplici ma sempre potenti.
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