Il leader degli Elio e le Storie Tese si racconta in un'intervista al Corriere della Sera

Una carriera in musica lunga quasi 40 anni, il successo in tv, la vita privata. Elio (nome d’arte Stefano Belisari) si racconta in una lunga intervista a 360 gradi con Walter Veltroni sul Corriere della Sera. Dal secondo posto a Sanremo con ‘La Terra dei Cachi’ alla censura nel concerto dei Primo Maggio del 1991: tanti i temi e i ricordi evocati dal leader degli Elio e le Storie Tese. Ma anche quello che Elio definisce il momento più brutto della sua carriera, la morte del polistrumentista Feiez, colpito da un aneurisma cerebrale nel 1998 all’età di soli 36 anni mentre suonava con la Biba Band. “Era davanti ai nostri occhi. Non so a quanti sia capitato di vedere morire così un amico, qualcuno con cui hai condiviso giorni, sogni, speranze, rabbie. Lui aveva 36 anni. Quando crollò, suonando, ebbi la sensazione che se ne fosse andato un pezzo di me, che nulla sarebbe stato più come prima. Accadde il 23 dicembre e ricordo l’atmosfera surreale di quei giorni, tra lutto e festa, con i doni e le cene mischiate alla morte di un tuo amico. Tutto surreale. Ma purtroppo tutto vero”, racconta Elio. 

Poi la vita privata, con l’autismo dei figlio quattordicenne Dante. Elio ha raccontato le difficoltà nell’ottenere la diagnosi: “Ce ne siamo accorti molto presto. È stata mia moglie a percepire delle anomalie nel comportamento di Dante. Io la consolavo, le dicevo che tutto si sarebbe normalizzato. Ma noi abbiamo due gemelli e le differenze, nel percorso di crescita, si vedevano nettamente. È stato difficile trovare qualcuno che sapesse farci una diagnosi chiara e che ci indirizzasse. Non esiste un numero di telefono a cui rivolgerti, un indirizzo dove andare. Ti rendi subito conto che l’autismo di un figlio si coniuga con la assoluta solitudine dei genitori“. E poi ha criticato le affermazioni del generale Roberto Vannacci, candidato con la Lega alle prossime Europee, sulla necessità di classi separate per i bambini disabili a scuola: “È un’idea vecchissima, superata dall’esperienza. Quello che fa bene è l’inclusione. È quello che deve accadere per portare benefici ai nostri figli. Bisogna che questi ragazzi siano aiutati a crescere insieme agli altri. Non separati. E questo fa bene a tutti, l’obiettivo è quello dell’autonomia e dell’indipendenza, per quanto possibile. Il percorso delle classi differenziali invece porta alla ghettizzazione”. 

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