La proposta del governo di abbassare il deficit per il 2019 dal 2,4% al 2,04% per l'Ue non è sufficiente. Ma da Palazzo Chigi si dicono fiduciosi. Conte: "Non tradiamo gli italiani"

La trattativa è all'ultimo miglio, ma tutt'altro che conclusa. Perché se la negoziazione tra Italia e Bruxelles ha preso una piega positiva dopo la decisione del governo gialloverde di rivedere al ribasso, dal 2,4 al 2,04% il deficit per il 2019, c'è ancora da lavorare.

Gli incontri in agenda sono fittissimi, mentre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è impegnato con i lavori dell'Eurosummit il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, si trova a una manciata di metri nel palazzo Berlaymont. Qui tecnici del Mef e della commissione si confrontano su numeri e stime e qui Tria ha avuto un incontro – non certo il primo, e nemmeno l'ultimo – con il delegato agli affari economici Pierre Moscovici, che dopo averlo visto corregge il tiro rispetto alle dichiarazioni del mattino e passa dal "non ci siamo ancora", che a Roma preferiscono non commentare in una mattinata di insolito silenzio, al "è stato fatto uno sforzo considerevole" della sera.

Mentre il premier si occupa del versante politico, è il ministro a condurre in prima persona le trattative 'a oltranza': rimarrà a Bruxelles fin quando necessario, ovvero fin quando non si riuscirà a trovare un accordo. Il clima, viene riferito da ambo le parti, è positivo, segno che se la procedura di infrazione non è mai stata auspicata da nessuno, ora è uno scenario che si allontana sempre di più, con un sospiro di sollievo generale. Ma perché quell'ultimo miglio venga colmato vanno sciolti ancora diversi nodi sul tavolo.

A impensierire Bruxelles è innanzitutto il dato del deficit strutturale: secondo le raccomandazioni della Commissione, l'Italia avrebbe dovuto garantire un miglioramento dello 0,6% rispetto al 2018, che la manovra non garantisce ma anzi peggiora. Ed è per questo che ci si vuole vedere chiaro, capire se il piano di dismissioni inserito nella legge di Bilancio può davvero funzionare, se in definitiva ci sarà qualche risultato già nel 2019. Il governo punta a stringere i tempi e conta di chiudere entro domenica, anche perché tutto ciò che si sta decidendo in queste ore va riversato nel testo fermo al Senato, dove la commissione Bilancio ha iniziato il suo lavoro ma è inevitabilmente in attesa della politica.

Depositati i primi emendamenti – circa 3.300, oltre 100 solo del M5s – si attendono le decisioni su reddito, quota 100, pensioni d'oro, sui nuovi saldi. Insomma c'è molto ancora da vedere, ed è per questo che l'orientamento è quello di sbrigare i lavori in commissione per poi lavorare sul testo in aula a partire da martedì 18 dicembre. I tempi restano strettissimi – lo slittamento a dopo Natale, quando dovrebbero arrivare anche i decreti su reddito e pensioni – pare inevitabile, ed è per questo che l'esecutivo fa quadrato sulla manovra. Anche perché c'è da rassicurare gli elettori sul rispetto degli impegni presi.

"Non tradiamo gli italiani, lavoriamo nel loro esclusivo interesse", assicura il premier cui i vice Salvini e Di Maio ribadiscono "Piena fiducia". Gli interventi dei leader politici di maggioranza sono volti ad assicurare il mantenimento di reddito di cittadinanza e quota 100 invariati, nonostante il taglio al deficit. "Cambiano i decimali, ma non cambia la sostanza", ribadisce Di Maio, "le misure fondamentali restano tutte" ma "gli aggiustamenti di bilancio permettono di evitare la procedura d'infrazione e di abbassare lo spread: gli effetti si vedono già da questa mattina". 

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