In bilico il futuro politico del Paese dopo le quarte elezioni in due anni

Dopo le quarte elezioni in due anni, il futuro politico d’Israele è in bilico tra la coalizione del premier Benjamin Netanyahu e il blocco dell’opposizione. Né l’alleanza del Likud con i partiti ultraortodossi e di estrema destra, né il blocco guidato da Yair Lapid, paiono destinati a raggiungere la maggioranza di 61 seggi alla Knesset, necessaria a formare un governo. Non pesa abbastanza, come sembrava dai primi exit poll, il partito Yamina dell’ex alleato del premier uscente, Naftali Bennett. Lo stallo che ha segnato la politica degli ultimi anni sembra riflettersi così sull’esito del voto. A fare da ago della bilancia potrebbe quindi essere il partito Ra’am, guidato dal parlamentare arabo Mansour Abbas (più moderato rispetto all’ala settentrionale).

 

Il suo movimento ha superato la soglia di sbarramento ed è diventato decisivo per il futuro del Paese. Ha incassato cinque seggi, che potrebbero portare uno dei due schieramenti alla maggioranza nella Knesset di 120 seggi. A differenza di altri leader arabi, il pragmatico Abbas non ha escluso di lavorare con il Likud o con altri partiti di destra, se questo potesse portare vantaggi alla comunità araba, che deve affrontare discriminazioni diffuse e povertà crescente, ancor più nel mezzo della pandemia di coronavirus. Per Netanyahu una situazione paradossale, visto che la sua forza politica si è basata largamente sul rifiuto del compromesso con i palestinesi, nonché sull’uso della retorica razzista, considerando la minoranza araba come simpatizzante dei “terroristi”.

 

Netanyahu, in questa contraddizione, stavolta ha cercato l’appoggio degli arabi in quella che gli osservatori hanno visto come un’ambiguità pensata per spaccare la Lista araba unita. Lista che, nelle elezioni dello scorso anno, aveva ottenuto il record di 15 seggi. Secondo gli osservatori, Netanyahu avrebbe spinto per far uscire Abbas dalla Lista per guidare un suo partito. Se fosse davvero andata così, il premier avrebbe avuto successo. E le decisioni di Abbas ora potrebbero evitare, o meno, le quinte elezioni in breve tempo. Ai partiti arabi non è mai stato chiesto di entrare in un governo israeliano, ma ora Abbas potrebbe rompere la tradizione rivendicando un seggio in cambio di appoggio. O, più probabilmente, potrebbe appoggiare la coalizione dall’esterno in cambio di maggiori investimenti in abitazioni, infrastrutture e sicurezza nelle comunità arabe. Lo ha detto anche in un’intervista ad Army Radio: “Vogliamo usare non solo gli strumenti parlamentari, ma quelli del governo per ottenere cose a beneficio della società araba”.

 

Ma la via sembra difficile. La coalizione di Netanyahu dovrebbe includere anche il Partito religioso sionista, i cui candidati sono apertamente razzisti. Gli arabi costituiscono il 20% della popolazione di Israele, ma affrontano diffusa discriminazione negli spazi e nei servizi pubblici. I cittadini arabi israeliani hanno stretti legami familiari con i palestinesi in Cisgiordania e Striscia di Gaza, identificandosi con la loro causa. Per questo molti ebrei israeliani li guardano con sospetto, fatto che Netanyahu e altri politici di destra hanno sfruttato nelle precedenti elezioni. È da vedere se, ora, ciò si ritorcerà loro contro. Se non riuscisse a estendere i suoi 12 anni al potere, il premier uscente rischierebbe la fine della sua carriera politica, nonché la vulnerabilità alla giustizia (e potenzialmente il carcere) nel processo per corruzione in cui è coinvolto.

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