Lo spiega a LaPresse Mauri Valente, vicepresidente dell'Associazione Italiana Content & Digital Creators (Aicdc)

La caduta dei Ferragnez – tra il Pandoro Gate che ha colpito la popolarità di Chiara Ferragni e l’indagine aperta su Fedez per rissacambierà la strategia dei brand multimiliardari e il loro approccio al ‘mercato’ degli influencer, smuovendo le carte di un settore che conta circa 350mila professionisti e con un giro d’affari di 2,55 miliardi di euro. Lo ha spiegato a LaPresse Mauri Valente, vicepresidente dell’Associazione Italiana Content & Digital Creators (Aicdc), novella associazione nata nel 2023 che raccoglie a oggi 650 influencer, tra cui Khaby Lame, Luca Campolunghi e Sespo. L’onda d’urto dei recenti fatti di cronaca, però, non toccherà “il volume degli investimenti” dei grandi marchi, ma “il tipo di influencer verso cui sono diretti”, ha chiarito Valente, lui stesso creator di lunga data. Gli scandali che hanno investito il mondo dell’influencer marketing, che aveva nella coppia milanese i propri esponenti di punta, “hanno toccato il discorso del ‘percepito’, dirigendo l’attenzione degli sponsor verso più creator, medi e micro, piuttosto che sull’unica celebrità, cercando così personaggi in linea con i valori del brand ma anche più radicati nella propria fan-base. I brand – ha semplificato infine Valente – ora cercano sempre più autenticità, al di fuori dei numeri: la cifra che investono è la stessa, ma cambia la strategia”. Un mutamento di mercato in un certo senso ‘fisiologico’: “L’influencer marketing d’altronde è nato perché le micro nicchie influenzavano”, ha sottolineato il vicepresidente. Una sorta di ritorno alle origini? “Sì, anche perché i micro creator vengono monitorati e hanno un tasso diverso di engagement rispetto a un big, con una maggiore possibilità di attrarre nuovi follower”.

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