Una tragedia evitabile, i parenti: "Fa male sapere che è stata fatta girare in tali condizioni"

Una tragedia che si poteva evitare, almeno da due punti di vista: con i controlli sulla fune e senza l’inibizione dei freni di emergenza. E’ questo il quadro che emerge dalle perizie depositate in tribunale a Verbania venerdì, in merito alla strage alla funivia del Mottarone del 23 maggio 2021, nella quale 14 persone hanno perso la vita. I due collegi peritali, uno guidato dal prof. Antonello De Luca e l’altro guidato dal prof. Paolo Reale, hanno tratto le loro conclusioni per rispondere al complesso quesito che era stato posto dalla gip Annalisa Palomba nell’ambito dell’incidente probatorio; le risposte stanno in oltre 1000 pagine di documenti.

Alla base una certezza: “La causa della precipitazione della cabina n. 3 della funivia è stata la presenza di esclusori del sistema frenante di emergenza (‘forchettoni’, ndr) inseriti dal personale di servizio della funivia”. Ma questo era già noto, era stato già ammesso pochi giorni dopo la tragedia da uno degli indagati, Gabriele Tadini, che però aveva definito la possibilità che la fune si rompesse una eventualità “impossibile”. E infatti il suo legale, Marcello Perillo, chiarisce a LaPresse: “Sappiamo che la causa primaria era quella ma valuteremo i tanti altri elementi per capire quali altre concause ci sono e in che percentuale hanno inciso sulla caduta”. I periti hanno anche dimostrato che, in base alle immagini dei sistemi di videosorveglianza, tra l’8 e il 23 maggio 2021 la cabina precipitata ha viaggiato nel 100% delle corse con i ‘forchettoni’ infilati. La cabina n. 4 nello stesso periodo di tempo li aveva inseriti nel 68% dei viaggi. Significa 329 viaggi per la cabina n. 3, 223 per l’altra.

L’altro aspetto cruciale è la rottura della fune: perché si è spezzata? Se da un lato non si rileva alcuna anomalia nella costruzione della testa fusa, il collegio di periti guidato da De Luca sostiene che però il 23 maggio circa il 68% dei fili che componeva la fune era già compromesso. Le analisi “hanno inequivocabilmente mostrato come la rottura della fune traente […] sia avvenuta non per eccesso di sforzo, bensì per un’evoluzione del degrado nella fune stessa”. La rottura dei fili era dunque avvenuta “già prima del collasso del 23 maggio 2021”. Ma i controlli previsti dalle norme non sarebbero stati fatti, “almeno negli ultimi mesi”: “una corretta attuazione dei controlli stessi” avrebbe “consentito di rilevare i segnali del degrado” e quindi “di sostituire la testa fusa, così come previsto da norme”.

Il dolore dei parenti

Per i parenti il dolore è continuo: “Quello che a me fa male è la volontà di far girare una cosa come quella lì con su 15 persone nonostante queste condizioni – dice a LaPresse Luca Nania, zio di una delle vittime, Alessandro Merlo -, per guadagnare o per altri interessi, non so, allora hanno disattivato pure i freni. La giustizia farà comunque il suo corso”. I legali della famiglia materna dell’unico sopravvissuto, il piccolo Eitan, parlano chiaro: “Se ancora ci fossero stati dubbi, la perizia li fuga – dicono a LaPresse -. L’incuria grave, da un lato, del manutentore. La prassi, ripetuta nel tempo, e perciò gravissima, del gestore, che disarmando i freni di fatto permetteva all’impianto di funzionare in violazione non solo delle norme di legge, ma con sprezzo della vita umana dei passeggeri”.

“Questa perizia conferma quanto rilevato nei primi giorni e cioè innanzitutto che senza i forchettoni la tragedia nn sarebbe accaduta e che le manutenzioni non venivano fatte come si sarebbe dovuto fare” dice la sindaca di Stresa, Marcella Severino. “La perizia non aumenta un dolore che è già enorme, lo riporta in superficie e il pensiero torna alle vittime e ai loro familiari” conclude.

Tanti altri dettagli vengono rilevati nelle perizie: dall’esistenza di punti ciechi nel sistema di videosorveglianza alla mancata conservazione dei dati della scatola nera per un anno (ci sono solo per circa 8 mesi). Si descrivono il rumore dei singoli fili della fune che si spezzano (‘tleng’) e un altro rumore, quello udito poco prima della caduta della cabina. Tutto questo aiuterà la procura a far luce sul disastro. Nelle conclusioni si va anche oltre: “Deve ritenersi esigibile da parte dei gestori delle funivie e del personale addetto, allo scopo adeguatamente formato, la conoscenza dell’esistenza del rischio […] sia della rottura delle funi di movimento e sia della (conseguente) rilevanza della funzione del freno di emergenza”. Ma i legali degli indagati, 12 in totale più due società, sono prudenti: “Non è possibile a oggi commentare una perizia redatta dopo un lavoro così articolato – dice a LaPresse Andrea Da Prato, legale del direttore di esercizio Enrico Perocchio -. Ma una perizia disposta e svolta nelle forme anticipatorie dell’incidente probatorio, a prescindere dalle conclusioni, non segna la fine di una vicenda ma semmai l’inizio di un confronto che sarà parimenti lungo, complesso e molto delicato”. Confronto che parte il 20, 21 e 24 ottobre con le udienze davanti alla gip per il dialogo tra periti.

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