Il pontefice nel corso dell'udienza generale in Piazza San Pietro: "Persone siano libere di scegliere se emigrare o no"

Il Mediterraneo è culla di civiltà, e una culla è per la vita! Non è tollerabile che diventi una tomba, e nemmeno un luogo di conflitto. No”. Così Papa Francesco stamani nel corso dell’udienza generale in Piazza San Pietro. “Il Mare Mediterraneo è quanto di più opposto ci sia allo scontro tra civiltà, alla guerra, alla tratta di esseri umani. È l’esatto opposto – ha detto il Pontefice – il Mediterraneo mette in comunicazione l’Africa, l’Asia e l’Europa; il nord e il sud, l’oriente e l’occidente; le persone e le culture, i popoli e le lingue, le filosofie e le religioni. Certo, il mare è sempre in qualche modo un abisso da superare, e può anche diventare pericoloso. Ma le sue acque custodiscono tesori di vita, le sue onde e i suoi venti portano imbarcazioni di ogni tipo. Insomma: è luogo di incontro e non di scontro, di vita e non di morte”. 

“Dall’evento di Marsiglia è uscito uno sguardo sul Mediterraneo che definirei semplicemente umano, non ideologico, non strategico, non politicamente corretto né strumentale, no, umano, cioè capace di riferire ogni cosa al valore primario della persona umana e della sua inviolabile dignità. E nello stesso tempo è uscito uno sguardo di speranza – ha aggiunto -. Questo è ogni volta sorprendente: quando ascolti i testimoni che hanno attraversato situazioni disumane o che le hanno condivise, e proprio da loro ricevi una “professione di speranza”, allora ti trovi di fronte all’opera di Dio”. 

“Fratelli e sorelle, questa speranza non può e non deve ‘volatilizzarsi’, no, al contrario deve organizzarsi, concretizzarsi in azioni a lungo, medio e breve termine. Che cosa significa questo? Significa lavorare perché le persone, in piena dignità, possano scegliere di emigrare o di non emigrare. È il tema della Giornata del Migrante e del Rifugiato appena celebrata – ha proseguito -. In primo luogo, dobbiamo impegnarci tutti affinché ognuno possa vivere in pace, sicurezza e prosperità nel proprio Paese di origine. Ciò richiede conversione personale, solidarietà sociale e impegni concreti da parte dei Governi a livello locale e internazionale. In secondo luogo, per quanti non possono rimanere in patria, si tratta di predisporre strutture affinché sia loro assicurata la sicurezza durante il viaggio e siano accolti e integrati là dove arrivano”. 

Occorre ridare speranza alle nostre società europee, specialmente alle nuove generazioni. Infatti, come possiamo accogliere altri, se non abbiamo noi per primi un orizzonte aperto al futuro? Dei giovani poveri di speranza, chiusi nel privato, preoccupati di gestire la loro precarietà, come possono aprirsi all’incontro e alla condivisione? Le nostre società ammalate di individualismo, di consumismo e di vuote evasioni hanno bisogno di aprirsi, di ossigenare l’anima e lo spirito, e allora potranno leggere la crisi come opportunità e affrontarla in maniera positiva. Pensiamo, ad esempio, all’inverno demografico che investe alcune società europee: esso non sarà superato con un “travaso” di immigrati, ma quando i nostri figli ritroveranno speranza nel futuro e saranno capaci di vederla rispecchiata nei volti dei fratelli venuti da lontano. L’Europa ha bisogno di ritrovare passione ed entusiasmo”. 

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