Hanno ormai rinunciato alla possibilità di salvare il figlio dalla malattia incurabile

Dopo aver rinunciato alle azioni legali per la vita del figlio, dopo mesi di estenuanti richieste di aiuto, appelli e ricorsi, l'ultima battaglia di Chris Gard e Connie Yates è per consentire a Charlie di morire nella sua culla, a casa.

Trasportarlo dal Great Ormond Street Hospital di Londra alla sua abitazione, al sud della città, secondo i medici sarebbe troppo complicato. Le macchine per la respirazione assistita che lo tengono in vita non possono essere spostate con lui e, una volta staccato dal ventilatore, il bambino avrà pochi secondi per continuare a respirare. Nei prossimi giorni il giudice dell'Alta Corte inglese, Nicholas Francis, sarà chiamato quindi a prendere un'altra decisione sul piccolo: consentire ai genitori di spostarlo o no.

Charlie ha 11 mesi ed è affetto da depressione del Dna mitocondriale, una malattia genetica rarissima di cui soffrono 16 bambini in tutto il mondo. Causa indebolimento muscolare progressivo e danni cerebrali, perché il corpo non produce energia per gli organi. Il bambino non può vedere, non può sentire e non può muoversi. I medici che lo seguono a Londra hanno ritenuto mesi fa che la qualità di vita del piccolo non fosse più dignitosa e che non aveva nessuna possibilità di miglioramento. I genitori però non hanno mai accettato l'idea di staccare la spina senza lottare fino alla fine e hanno intrapreso una via crucis legale rivolgendosi all'Alta corte inglese, l'11 aprile, poi alla corte l'Appello inglese, il 25 maggio, infine alla corte europea dei diritti dell'uomo, l'8 giugno. Tutti i giudici hanno dato ragione ai medici. Parallelamente la campagna sui social #charliesfight, la battaglia di Charlie, è diventata virale portando il caso sotto i riflettori di tutto il mondo.

Papa Francesco e Donald Trump si sono offerti di prendere in cura il piccolo. Ma il tempo è passato troppo in fretta per una malattia di cui non si sa quasi nulla e che degenera molto velocemente. "Abbiamo fatto tutto quello che potevamo per rispondere all'appello della famiglia e cercare di dare un'opportunità di cura al piccolo Charlie", fa sapere l'ospedale pediatrico della Santa Sede Bambino Gesù, uno dei primi a rispondere all'appello di Bergoglio per non lasciare soli i genitori. "Ci siamo chiesti – spiega la presidente, Mariella Enoc – se essendo noi l'ospedale del Papa non dovessimo anche essere la sua mano, in questo senso". Un team internazionale di esperti ha elaborato una terapia sperimentale con deossinucleotidi per il bambino. Nella squadra, con il professore di neurologia della Columbia University Michio Hirano che già seguiva Charlie dal Gosh, c'era anche il primario di malattie muscolari e neurodegenerative dell'ospedale della Santa Sede, Enrico Bertini. "Il bambino era stato messo in una fase palliativa prolungata. Riattivando il percorso terapeutico – spiega lo specialista – ci siamo accorti che la situazione era drammatica: il bambino aveva perso il 90% di massa muscolare".

Per Charlie non c'era abbastanza tempo, ma la terapia potrà essere in futuro un'opportunità per i malati rari con la stessa patologia o con patologie simili. "Abbiamo purtroppo constatato di essere arrivati forse troppo tardi", sostiene l'ospedale. "Ma abbiamo fatto tutto ciò che la mamma di Charlie ci aveva chiesto di fare". Due risultati, però, sono stati raggiunti, secondo la struttura: la spina non è stata staccata "senza avere prima risposto a una legittima richiesta di cura da parte dei genitori e verificato fino in fondo le condizioni del bambino" e si è creato "un confronto congiunto internazionale approfondito sia sul piano scientifico che su quello clinico; un fatto straordinario, un caso emblematico per il futuro delle malattie rare. Per la prima volta su un singolo paziente si è mossa la comunità scientifica internazionale". Questa è la vera eredità del caso Charlie: "l'impegno a sviluppare concretamente un modello di medicina personalizzata".

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