Tenaci, esuberanti, aggressivi: quando il 'politicamente scorretto' lascia il segno

In questo turbolento 2016 ci sono due uomini che hanno segnato il presente e che si apprestano a lasciare un graffito nel futuro. Sono due uomini di massima rottura, Donald Trump e Boris Johnson, uniti non solo per una bizzarra capigliatura biondo-rissiccia e per i medesimi natali newyorkesi ma, anche e soprattutto, per le loro idee tranchant.

Trump, che non ha aveva mai ricoperto incarichi politici prima di calarsi nell'avventura presidenziale americana, che si porta addosso il brand del multimiliardario di ferro, che ha comprato il più bel campo da golf degli Stati Uniti (il Doral di Miami) e lo ha intitolato a se stesso, che vanta un passato da attore non proprio alla Ronald Reagan ma quasi – ha travolto oltre a Hillary Clinton qualsiasi previsione, qualsiasi sondaggio, qualsiasi auspicio del mondo finanziario. Come? Usando toni torrentizi, a volte inconciliabili con un corretto lessico elettorale, cavalcando la repulsione anti-establishment, alzando muri ideologici e promettendo di alzarli materialmente, con il Messico, infilandosi sotto la pelle degli indecisi d'America.

Johnson, giornalista, blogger, due volte sindaco di Londra, è stato tra i più ferventi promotori della Brexit, cioè dell'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea. Anche Johnson, a suo modo, ha fatto alzare un muro tra Londra e il resto del Vecchio Continente. Pure lui nei toni è abbastanza esuberante, a volte persino sboccato, insomma sempre spada e raramente fioretto, offensivo nei confronti degli omosessuali e dell'islam, però raffinato nel dichiarare la sua passione per la storia di Roma. Un giorno del 2012, a David Letterman disse che, possedendo la doppia cittadinanza, poteva diventare "tecnicamente presidente degli Stati Uniti". Salvo poi scegliere di essere in tutto e per tutto un suddito della regina e definire "mezzo kenyota" Barak Obama quando di recente si espresse negativamente riguardo alla Brexit. Il paradosso? È stato nominato dalla premier Theresa May segretario di Stato per gli Affari Esteri e del Commonwealth.

Nella nuova veste, Johnson ha ammorbidito i modi così come, nel suo primo discorso da presidente degli Usa, Trump è stato conciliante e rispettoso nei confronti gli sconfitti. Metamorfosi comparate? Per adesso di comparabile rimane solo la capigliatura improbabile.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata