Allarme lanciato dalla Cgil, cifra che non arriva a 11mila euro l'anno. Nel 2023 l’inflazione ha raggiunto il 5,9%

“I dati non potrebbero essere più eloquenti. Se passiamo dal lordo al netto, risulta che, nel 2022, 5,7 milioni di lavoratrici e lavoratori hanno guadagnato l’equivalente mensile di 850 euro, altri 2 milioni di dipendenti arrivano ad appena 1200 euro al mese. E la situazione non è certo migliorata nel 2023, anno in cui l’inflazione ha raggiunto il 5,9%, cumulandosi con quella dei due anni precedenti, raggiungendo un totale del 17,3%”. Così il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari.

 “Si è trattato, peraltro – aggiunge Ferrari -, di un’inflazione da profitti contro cui il Governo non ha posto alcun argine efficace, assistendo – inerte – all’impoverimento drammatico di milioni di lavoratori e pensionati. Non solo, non stanziando i fondi necessari a rinnovare adeguatamente i contratti di oltre 3 milioni di lavoratori pubblici, ha dato un pessimo esempio, come primo datore di lavoro del Paese, ai datori di lavoro privati. E che questo sia il suo orientamento, l’Esecutivo lo ha confermato scrivendo nero su bianco, nella Nadef, che va scongiurata una inesistente spirale salari-prezzi. Per non parlare del rifiuto di qualsiasi ipotesi di tassare gli extra profitti di chi ha accumulato ricchezze senza precedenti sulle spalle delle fasce popolari. Dello stesso segno il no al salario minimo: una totale indifferenza verso fasce sempre più ampie di popolazione che vedono negato il proprio diritto a una vita dignitosa, che sono poveri pur lavorando”. 

“Le cause di questa situazione – sottolinea Ferrari – sono diverse: precarietà, discontinuità e part time involontario, che colpiscono soprattutto giovani e donne; alta concentrazione di dipendenti nelle più basse qualifiche di inquadramento, specchio di un sistema produttivo poco qualificato e basato sulla competizione di costo del lavoro; ingiustificati e gravi ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi nazionali. Per recuperare il grande divario accumulato con gli altri grandi paesi europei, occorre intervenire contestualmente sull’insieme di tutti questi fattori, cancellando innanzitutto una precarietà che, da lavorativa, sempre più spesso si trasforma in precarietà esistenziale”. 

 “Sostenere i salari, compresi quelli che non rientrano nelle categorie più basse ma che hanno comunque subito un aumento del costo della vita senza precedenti, è fondamentale non solo per lavoratrici e lavoratori, ma per irrobustire la domanda interna. Farlo è decisivo per agganciare una crescita solida e duratura, in una fase di bassi investimenti e di riduzione delle esportazioni. Per questo il principale impegno della Cgil sarà rivolto ad ottenere rinnovi contrattuali adeguati per i quasi 12 milioni di lavoratrici e lavoratori con il Ccnl scaduto e per cambiare la legislazione sul lavoro e sugli appalti”, conclude Ferrari.

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