La Corte Costituzionale: "Illegittima la distinzione tra nullità espresse e non espresse"

La tutela reintegratoria prevista nel Jobs Act si applica tutti i casi di nullità del licenziamento previsti dalla legge, anche se non “espressamente” indicati. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, che con la sentenza numero 22 del 202 ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 2, primo comma, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alla parola “espressamente”.

Tale disposizione, quindi, è stata ritenuta illegittima nella parte in cui, nel riconoscere la tutela reintegratoria, nei casi di nullità, previsti dalla legge, del licenziamento di lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti (quindi a partire dal 7 marzo 2015), l’ha limitata alle nullità sancite “espressamente”. La Corte di Cassazione, nel sollevare la questione, aveva censurato tale limitazione.

La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata questa censura, osservando che il criterio direttivo “aveva segnato il perimetro della tutela reintegratoria del lavoratore nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, escludendola, in negativo, per i licenziamenti ‘economici’, e prevedendola, in positivo, nei casi di licenziamenti nulli, discriminatori e di specifiche ipotesi di licenziamento disciplinare”.

La Corte Costituzionale: “Illegittima la distinzione tra nullità espresse e non espresse”

La Corte – si legge in un comunicato della Consulta – ha sottolineato che il testuale riferimento ai “licenziamenti nulli”, contenuto nel criterio direttivo, non prevedeva – e non consentiva quindi – la distinzione tra nullità espresse e nullità non espresse, ma contemplava una distinzione soltanto per i licenziamenti disciplinari ingiustificati. Il legislatore delegato, al contrario, ha introdotto una distinzione non solo per questi ultimi, ma anche nell’ambito dei casi di nullità previsti dalla legge, differenziando secondo il carattere espresso (e quindi testuale), o no, della nullità.

Inoltre, prevedendo la tutela reintegratoria solo nei casi di nullità espressa, ha lasciato prive di specifica disciplina le fattispecie “escluse”, ossia quelle di licenziamenti nulli sì, per violazione di norme imperative, ma privi della espressa sanzione della nullità, così dettando una disciplina incompleta e incoerente rispetto al disegno del legislatore delegante. Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata, limitatamente alla parola ‘espressamente’, consegue che il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra l’espressa sanzione della nullità, sia che ciò non sia testualmente previsto, sempre che risulti prescritto un divieto di licenziamento al ricorrere di determinati presupposti.

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