Il libro, 'La nostra Siria grande come il mondo', è edito da Add Editore ed è uscito il 9 marzo

“Vogliamo essere due candele che illumineranno per sempre il buio che mangia la Siria”. Con queste parole Shady Hamadi descrive il suo nuovo libro, uscito il 10 marzo per Add Editore e scritto insieme al padre Mohamed, ‘La nostra Siria grande come il mondo’. “Questa è la storia del non-ritorno” spiega Hamadi: il ritorno in Siria che, a dieci anni dall’inizio della guerra, non è mai avvenuto e forse non avverrà mai. Il testo racconta la storia di un Paese lacerato (e di chi lo vive), con gli occhi di un figlio e di un padre, con le similitudini tra ciò che Mohamed ha visto e lasciato in Siria e ciò che Shady ha invece trovato in Italia, a Milano, e poi a Londra. Shady Hamadi ha già pubblicato ‘La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana’ e ‘Esilio dalla Siria. Una lotta contro l’indifferenza’ sul tema. Questo nuovo testo completa la storia: è un racconto forse ancora più intimo e allo stesso tempo un po’ disilluso sulla Siria.  

La nostra Siria grande come il mondo
La nostra Siria grande come il mondo

Da alcuni giorni in tutto il mondo si torna a parlare della guerra in Siria, a 10 anni dal suo inizio. Cosa significa far uscire il suo personale racconto su questo Paese proprio in occasione di questo anniversario?  

È il tentativo di raccontare una storia: quella del Non ritorno, che accomuna milioni di siriani e siriane sparsi per il mondo. Dobbiamo fare i conti con la verità: la guerra in Siria non terminerà perché l’Occidente si è interessato o la sua società civile, anche quella italiana, si è mossa. Finirà, invece, quando il regime di Damasco avrà finito di fare piazza pulita dell’opposizione e riempito le carceri. Il nostro libro, che è la conclusione di una trilogia, tenta di raccontare l’orrore quotidiano attraverso il mio dialogo con papà: un sopravvissuto a quell’orrore.   

Nella prefazione scrive “Per mio padre la Siria non era più nostalgia, ma si era trasformata nell’immagine del proprio dolore; per me invece era un desiderio prepotente: varcare quel confine per ritrovare me stesso”. Aver scritto il libro insieme a suo padre ha significati diversi, per diverse generazioni?   

Senza dubbio la parte di mio padre serve a raccontare una Siria che per certi versi non esiste più. Era un paese carico di speranza. Si leggevano Togliatti e Gramsci, si guardava molto al panarabismo.  Quel paese non esiste più. È uguale a quel passato il dramma della tortura e dell’immigrazione. Mio padre ha varcato numerosi confini per arrivare in Italia quando Aldo Moro fu assassinato. Poi c’è la mia Siria, quella che ho ritrovato dopo il lungo esilio. L’ho sfiorata e, poi, sono nuovamente caduto nell’esilio. C’è il racconto, il mio, di un figlio dell’Italia che si impegna per il suo paese d’origine. Anni di incontri, di attività culturali e muri che non si riescono ancora a sfondare. Non c’è stato nessun sostegno, neanche nel giornalismo. Come centinaia di migliaia di altri italiani, sono dovuto emigrare. Ma qui sta la differenza: io ho preso un aereo, grazie al mio passaporto italiano. Altri, come chi scappa dalla Siria, non possono viaggiare con la mia semplicità.  

Il paragone con Milano e con Londra è costante. Si notano differenze ma anche tanti punti in comune. Come vive questa doppia identità?   

Londra è la terza città italiana. Cammini per strada e vedi i nomi di locali italiani. Camminando per il centro senti il brusio dei dialetti di tutta la penisola. È bello ma è soprattutto il dramma di centinaia di migliaia di giovani che sono dovuti scappare da un Paese che non offre opportunità. Che costringe alla fame e, beffa nelle beffe, accusa i giovani di fare le vittime perché denunciano la situazione. Se l’Italia non si occupa dei suoi giovani, come posso pensare io, per metà siriano, che si occupi dei siriani? Milano mi manca, tremendamente.  

Nel testo scrive che doveva essere un libro sul ritorno ma invece c’è solo un profondo allontanamento. Perché?   

È la fine delle illusioni. Io e papà abbiamo fatto pace con l’idea che non ci faranno mai tornare. E va bene così. L’unica cosa che abbiamo promesso è quella di continuare a essere due candele che illumineranno per sempre il buio che mangia la Siria. 

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