La storia del 32enne raccontata nel libro 'Lo sguardo avanti. La Somalia, l'Italia, la mia storia'
“Non si può essere stranieri per sempre”. Per Abdullahi Ahmed Abdullahi, 32 anni, originario della Somalia e cittadino italiano, questa frase è un mantra. La ripete da quando è arrivato più di dieci anni fa a Settimo Torinese, nel centro di accoglienza della Croce Rossa dopo un lungo viaggio attraverso l’Africa per scappare da guerra e miseria. Da allora il suo percorso “per diventare cittadino attivo della comunità”, come racconta, è stato lunghissimo: “Un percorso di interazione più che integrazione”. La sua storia è contenuta nel libro “Lo sguardo avanti. La Somalia, l’Italia, la mia storia” edito da Add Editore. È una storia che passa attraverso la sua capacità di imparare la lingua, la storia del Paese dove vive e dove ha iniziato a diventare cittadino consapevole attraverso il volontariato e l’associazionismo. Nel 2016 ha fondato l’associazione Generazione Ponte a Torino, con la quale organizza da tre anni il Festival dell’Europa Solidale e del Mediterraneo a Ventotene.
Il libro racconta la sua storia ma oltre al passato c’è molto di più. Cosa significa per lei?
Non mi soffermerei sul tema del viaggio, che è il mio passato, ma sull’oggi e il domani. Non voglio che il libro sia letto solo come la mia storia ma che venga visto come un modo per affrontare le sfide generazionali del futuro, nostre, di tutti i cittadini. Il libro parla soprattutto di questo. Il significato dell’associazione che guido, Generazione Ponte, è proprio quello di essere cittadino attivo, prendersi cura delle cose, lasciare il segno. È un invito alla cittadinanza attiva. È anche un manuale per la didattica, non per l’integrazione ma per l’interazione.
A chi si rivolge?
È pensato principalmente per i ragazzi, i giovani, per le scuole e per gli universitari. Racconta la mia storia dai 19 anni in avanti, la storia di un ragazzo e del suo viaggio. Dei 10-12 anni di percorso che ha fatto in Italia. È anche uno strumento didattico per le scuole superiori o per chi lavora nel settore della cooperazione.
Nel libro racconta di quanto la domanda ‘di dove sei’ rivolta a una persona di origini straniere possa essere offensiva. Secondo lei questa è una domanda che ha ancora senso?
La premessa è che la mia storia non è quella di chi è nato qui. Non è una storia di ‘ius soli’. Per chi è nato in Italia la domanda ‘Da dove vieni?’ può risultare offensiva ma ha un senso, per me meno. Serve guardare all’integrazione a livello globale, pensiamo all’Europa: in altri Paesi c’è un processo che è avviato, in Italia il discorso è diverso per tanti motivi. Negli uffici pubblici, nel giornalismo, in tutta la società c’è una carenza di visione. C’è un percorso di consapevolezza avviato ma c’è ancora tanta strada da fare. In Italia si fatica ancora oggi ad avere una legge sulla cittadinanza adeguata. Una delle cose positive, tra le tante, è la legge sulla cooperazione internazionale che si è data l’Italia nel 2015 e che valorizza il ruolo delle associazioni delle diaspore.
Questo ci porta al concetto di cittadinanza, di cui si parla anche nel libro. Cosa significa essere cittadini?
A mio parere per essere cittadino occorre essere attivo, consapevole, protagonista della nostra società. Il cittadino, secondo me, fa qualcosa di concreto per la comunità, per rendere il posto dove vive migliore, un po’ più ‘gentile’ per tutti. Avere una carta che attesta la cittadinanza dà più diritti, ovviamente, ma a prescindere da questo ci sono anche delle cose che bisogna ‘dare’ alla comunità.
Nel libro parla anche del diritto di voto. Quando ha votato per la prima volta?
Alle europee, a 30 anni. È stato importante per me, il diritto di voto è cruciale e fondamentale. Stiamo andando verso un sistema multipolare per cui un insieme di nazioni può lavorare a livello mondiale, se vediamo solo l’Italia da sola non ce la fa. È importante parlare del fatto che l’unione fa la forza.
A marzo sarebbe dovuto tornare per la prima volta in Somalia dopo oltre 10 anni ma la pandemia ha bloccato il viaggio. È riuscito a tornare in questi mesi?
Sono tornato poco tempo fa, a ottobre. A marzo mi hanno cancellato il volo e poi spostato a Parigi, dove però con il mio passaporto da cittadino italiano non mi hanno fatto partire. In quel momento l’Italia era vista come centro dell’epidemia del Covid. Sono tornato per rivedere gli amici, la famiglia e portare dei progetti, come quello fatto parallelamente con le scuole di Settimo Torinese e i giovani delle scuole in Somalia.
La prefazione del libro è scritta dallo storico Carlo Greppi. È scritta ‘per un amico’, spiega. Come vi siete conosciuti?
Ci siamo conosciuti appena sono arrivato in Italia, a Settimo Torinese. Essendo io una persona molto curiosa ed essendo lui uno storico, sempre disponibile ad aiutare, abbiamo un rapporto stretto. Come Generazione Ponte ci ha sostenuto, ha raccontato a tanti ragazzi la storia di Torino e dell’Italia. Avere oggi uno storico a Torino così disponibile non è affatto scontato, lo ringrazio.
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