Per il professore ordinario di Demografia all'Università Cattolica di Milano il pericolo è che la politica "resti indietro rispetto alla società"

Sulla crisi delle nascite in Italia “questo governo ha fatto molto poco rispetto a quello che servirebbe, come del resto gli altri esecutivi,” e “le misure messe in atto dal governo non permettono di convergere con le situazioni migliori di altri Paesi, come Francia, Spagna, Germania, dove si fa di più”. Così Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia all’Università Cattolica di Milano, a LaPresse, sul tema della crisi delle nascite, della maternità e lavoro, del gender gap e della conciliazione fra figli e situazione lavorativa.

Un nuovo spunto arriva dal rapporto Save The Children sulle madri ‘equlibriste’, diffuso a pochi giorni dalla festa della mamma, da cui emerge anche il fatto che nel 2023 in Italia una lavoratrice su cinque esce dal mercato del lavoro dopo essere diventata madre e il nuovo record negativo per la nascite che nel 2023 registrano il minimo storico delle nascite,con un calo del 3,6%.

Anche Papa Francesco ha lanciato un appello sulla questione denatalità. “Questi Paesi ricchi non fanno figli: tutti hanno un cagnolino, un gatto, tutti, ma non fanno figli“, ha detto il Pontefice ricevendo in udienza i partecipanti alla consultazione ‘La cura è lavoro, il lavoro è cura’ del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

Eppure il tema della natalità nella dichiarazioni del governo di centro destra guidato dalla premier Giorgia Meloni è apparso come di rilievo. “Sì, ha una parte importante – dice il professore – ma poi si rinuncia a fare misure a sostegno della natalità, legge finanziaria per legge finanziaria, anno per anno, per destinare risorse altrove. Il problema è che non c’è una strategia oltre le scadenze elettorali, ma c’è solo una tattica anno per anno, a seconda delle disponibilità economiche che rimangono in finanziaria. Ma in questo modo la questione diventa residuale e senza una strategia”.

Fra gli esempi concreti “il part time non è scelto, né reversibile”. Si sono fatti miglioramenti sul congedo parentale – fa notare il professore – ma il tema è il congedo di maternità e paternità: cinque mesi per le donne, dieci giorni per gli uomini. Se si rafforza solo il congedo parentale e non quello di paternità “il rischio è che lo prendano solo le donne”. I dati Inps mostrano che la percentuale di papà che utilizza il congedo di paternità si è più che triplicata fra il 2013 e il 2022. Nel 2013, infatti, poco meno di 1 padre su 5 ne ha usufruito, meno del 20%, mentre nel 2022 sono stati più di 3 su 5, oltre il 64%. Per Rosina il pericolo è che la politica “resti indietro rispetto alla società”.

Il tema della crisi delle nascite e del gap italiano fra figli desiderati e quelli che nascono si incrocia con quello delle politiche per il lavoro. Rosina evidenzia come l’ occupazione femminile in Italia piu bassa di quella maschile sia legata alla difficoltà di conciliare lavoro e famiglia per le donne. “La carenza di nidi, di congedi paternità, le carenze delle politiche italiane rispetto a Paesi come la Francia e la Germania portano le donne con figli piccoli a rinunciare a lavorare e chi vuole investire sul lavoro a rinunciare ad avere figli o a scegliere di averne uno solo. Invece ci sono donne che vorrebbero realizzarsi in entrambi gli ambiti. E in altri Paesi questo è favorito da politiche che conciliano natalità e lavoro”.

I dati dicono che il numero medio di figli per donna in Italia è di 1,2, in diminuzione rispetto al 2022 e inferiore a paesi come la Francia dove è 1,8. E in Italia le donne scelgono di non avere figli o ne hanno meno di quanti ne vorrebbero. “Potremmo avere gli stessi dati della Francia – sottolinea lo studioso- ma non accade per mancanza di politiche adeguate”. 

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