Amina Milo Kalelkyzy avrebbe firmato a sua insaputa dei documenti che avrebbero portato all'accusa di traffico di droga. Farnesina segue il caso
Amina Milo Kalelkyzy, 18 anni, da sempre vissuta a Lequile, nel Salento, è in carcere ad Astana, in Kazakistan, dallo scorso 11 luglio con l’accusa di traffico internazionale di droga. A riportarlo è il Quotidiano di Puglia che racconta la storia e l’appello che ha lanciato la madre Assemgul Sapenova, naturalizzata italiana. La giovane, che non parla kazako, rischierebbe dai 10 ai 15 anni di carcere. Secondo la ricostruzione del giornale locale, la giovane era andata in Kazakistan, terra d’origine della sua famiglia, a visitare i parenti. Lì, durante un’uscita con alcuni coetanei conosciuti da poco, lo scorso 2 luglio sarebbe stata presa dalla polizia e segregata in un appartamento per 16 giorni. La madre avrebbe ricevuto una telefonata in cui le chiedevano il riscatto per liberarla. A quel punto la donna si è rivolta alle autorità italiane che, tramite l’ambasciata, hanno lavorato per liberarla. Una volta libera, la 18enne avrebbe avuto sul corpo segni di violenze e abusi (sarebbe stata legata a una sedia e picchiata). In fase di denuncia, la beffa: la 18enne, che non conosce il kazako, avrebbe firmato dei documenti che avrebbero portato all’accusa di traffico di droga. La giovane è ancora in carcere e, secondo quanto ricostruito dal quotidiano, avrebbe tentato due volte di togliersi la vita. Assistita da un avvocato e dall’ambasciata, il caso sarebbe ora all’attenzione del ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Farnesina segue il caso
A quanto si apprende da fonti informate, l’ambasciata italiana ad Astana, in stretto raccordo con il ministero degli Esteri, si sta occupando del caso. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani è stato fin da subito informato della vicenda e ha dato disposizione all’ambasciata di garantire la massima assistenza alla ragazza. La 18enne, riferiscono le fonti, riceve visite regolari da parte del personale consolare italiano presente nel Paese. Durante le fasi processuali un funzionario dell’ambasciata ha sempre partecipato come osservatore.
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