Lo ha detto il suo legale, intanto il fidanzato della ragazza uccisa a Novellara chiede giustizia

Il padre di Saman Abbas è entrato per la prima volta in aula questa mattina, al tribunale di Reggio Emilia, a una settimana dalla sua estradizione dal Pakistan. Ha chiesto di non farsi riprendere in volto e, per il momento, in udienza, non ha rilasciato dichiarazioni. Secondo i suoi avvocati, Simone Servillo ed Enrico Della Capanna, lo farà più avanti. “È molto confuso: è appena arrivato in Italia, non conosce ancora gli atti del processo e sta piano piano prendendo consapevolezza degli elementi di prova che l’accusa sta portando a suo carico. Deve digerirli e comprenderli”, spiega Della Capanna che, insieme al collega, ha passato con l’uomo, imputato al processo per l’omicidio della figlia 18enne, sparita da Novellara nella primavera del 2021 e ritrovata senza vita nel novembre scorso, quasi nove ore.

“Shabbar Abbas, già dai primissimi colloqui che abbiamo fatto, ha detto chiaramente che chi ammazza una figlia è una bestia e che lui non è una bestia“, ha dichiarato Servillo, a margine dell’udienza, definendo il suo assistito “concentrato”, ma anche “una persona emotivamente molto provata, non solo dalla carcerazione, che ha un impatto secondario sul suo stato emotivo, ma dal fatto che gli hanno ammazzato la figlia”. Abbas è imputato al processo insieme a uno zio della ragazza, a due cugini e alla moglie, che al momento risulta latitante e che, secondo quanto riportato dai suoi avvocati, che hanno riferito quanto ricostruito dall’uomo, sarebbe stata nella sua abitazione pachistana al momento dell’arresto del marito. “Si è presentata la polizia a casa sua, lui era fuori casa, la moglie era all’interno dell’abitazione: lui è stato arrestato, condotto al carcere e, da quel momento, non ha avuto nessun rapporto, né con lei, né con nessun altro familiare, non ha potuto più parlare con nessuno”, ha precisato Della Capanna.

Fin dall’inizio, secondo le prime ricostruzioni, la giovane si sarebbe opposta a un matrimonio forzato, che costituisce l’impianto accusatorio e il movente di questo delitto. “C’era la richiesta da parte della famiglia con indicazioni di un marito, però Shabbar ha detto chiaramente che anche il dettame islamico non comporta la possibilità per il padre di obbligare la figlia con la forza a un matrimonio – ha chiarito ancora Servillo -. Loro, cioè, danno un’indicazione, poi però se i figli non vogliono, non vogliono”. Per Della Capanna, infatti, questo movente avrebbe un senso se si accreditasse l’ipotesi di un omicidio premeditato e preparato: “Mi chiedo, però, se questo omicidio fosse un gesto di impeto, conseguenza di una reazione, durante un diverbio o un litigio, quel movente che ci siamo fatti resterebbe sempre valido o potremmo cercarne un altro? Io mi sto chiedendo questo, poi dopo il processo ci spiegherà qual è il movente, scriverà delle pagine sul movente e sarà una verità di cui prenderemo atto. Oggi, però, questa verità secondo me non c’è”.

Intanto c’è chi continua a chiedere giustizia. Lo fa, indirettamente, il fidanzato della giovane, Saqib Ayub, tramite Barbara Iannuccelli, uno dei suoi due legali. “Quando gli si raccontano tutte le vicende processuali lui capisce il giusto e dice soltanto che vuole giustizia per Saman; Saqib è in attesa di raccontare la sua verità, ma è un ragazzo di 20 anni, che ha conosciuto Saman su Tik Tok – ha detto -. Lui non credeva minimamente che fosse sotto due metri di terra. Lui, fino all’ultimo, sperava che fosse scomparsa”.

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