Preoccupano le nuove varianti. Sì a zone rosse all'interno delle regioni

Nell’Italia a macchia di leopardo torna prepotente a farsi strada l’arancione. Uno scenario prevedibile e preventivato. Del resto i dati dell’ultimo monitoraggio della cabina di regia Iss-Ministero della Salute parlano chiaro: L’indice Rt è in crescita a 0,99 e con un limite superiore che sorpassa la soglia di allarme fissata a quota 1 (1,07). Se l’incidenza rimane pressoché identica (135,46 casi per 100mila abitanti contro i 133,13 della settimana precedente) e i ricoveri, sia in reparto che nelle terapie intensive, si confermano in lieve diminuzione a livello nazionale ci sono segnali che portano a una “controtendenza verso un iniziale aumento dei casi”. A dirlo chiaramente è il professor Gianni Rezza, direttore della Prevenzione del Ministero della Salute. Il motivo è legato alla presenza delle varianti, su tutte quella inglese, e alla loro maggiore trasmissibilità. Per questo occorrerà reagire “in maniera aggressiva”. Al momento il sistema a fasce resterà in vigore e a questo verranno aggiunte piccole o grandi zone rosse locali, come la provincia di Perugia, dove l’insorgere di nuovi focolai lo renderà necessario. Da domenica quindi Campania, Emilia Romagna e Molise entreranno in zona arancione dove andranno a far compagnia ad Abruzzo, Liguria, Provincia autonomia di Bolzano (che si è autodichiarata in zona rossa), Provincia autonoma di Trento, Toscana e Umbria. Restano invece in giallo Piemonte, Lombardia e Lazio. Niente da fare invece per il sogno della Valle D’Aosta di diventare la prima regione italiano in fascia bianca, dove le uniche restrizioni sono l’utilizzo della mascherina ed il rispetto del distanziamento sociale.

Non allarmismo ma un “allerta precoce”, sottolinea ancora Rezza, per evitare guai peggiori. E a chiedere una riflessione sull’Italia ‘maculata’ arrivano anche i presidenti regionali. “Il sistema delle varie colorazioni, di fronte alle varianti, rischia di non essere efficace, perché provoca questi sali scendi che non danno certezze per il futuro”, il ragionamento di Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza Stato-Regioni. Non un lockdown che “non è percorribile” ma “restrizioni più omogenee se il peggioramento dei dati è generale”, dice ancora chiedendo ai ministri della Salute e degli Affari Regionali, Roberto Speranza e Mariastella Gelmini, di “sederci e valutare”. Una situazione che, sempre tenendo come punto fermo la curva epidemiologica, sarà certamente al centro del dibattito la prossima settimana visto che il 25 febbraio scade il divieto di spostamento fra le regioni anche di colore giallo e il 5 marzo l’ultimo dpcm del Conte bis. Il premier Draghi, che nel suo discorso al Senato ha promesso agli italiani di essere avvisati tempestivamente sull’eventuale cambio delle regole di ingaggio, avrà subito una scelta complessa da effettuare.

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