Un'eventuale riapertura a partire dal 15 febbraio non basterà a salvare una "stagione drammatica"

Una stagione sciistica ormai persa. Nonostante l’ok del Comitato tecnico scientifico alla riapertura degli impianti di risalita a partire da lunedì 15 febbraio, gli operatori restano scettici e guardano ai ristori come unica soluzione per sopravvivere. Il grido di allarme arriva soprattutto dalle Valli olimpiche piemontesi, dove gli hotel registrano un calo del 90% del fatturato nel 2020 con prospettive simili per il primo semestre 2021. Un’eventuale riapertura a partire dal 15 febbraio e la possibilità di tenere aperti gli impianti non contribuirà a salvare una “stagione drammatica”, precisa Federalberghi Torino, che spiega come “dopo un’estate positiva, con flussi di turismo incoraggianti, la seconda ondata dell’epidemia e le misure varate dal governo per contenerlo hanno messo in ginocchio le strutture ricettive delle montagne olimpiche”. Con gli impianti di risalita chiusi, i divieti allo spostamento tra regioni – e per lunghi periodi anche tra comuni – le strutture alberghiere e turistico-ricettive non sono state incluse tra le attività costrette a chiudere ma si sono viste privare della clientela (al 70-80% rappresentata da turisti stranieri). Per questo Federalberghi Torino e le associazioni di albergatori e gli imprenditori del settore di Bardonecchia, Sestriere, Sauze d’Oulx, Pragelato, Cesana, Claviere e Prali (tutte nel Torinese) chiedono, nel breve periodo, ristori immediati, estesi anche a rifugi, strutture extra-alberghiere, agriturismi e case appartamenti vacanze, e una consistente riduzione o la cancellazione per il 2021 dei tributi locali. Per il futuro gli operatori chiedono dunque una politica di rilancio turistico che parta, almeno nei prossimi mesi, da quello di prossimità e di promozione nazionale ed internazionale con incentivi per chi intende investire sul territorio.

Scetticismo sulla riapertura degli impianti, consentita comunque alle regioni gialle, lo mostra anche il virologo Andrea Crisanti direttore del dipartimento di Microbiologia dell’università di Padova che vede nelle piste da sci nuove opportunità per il diffondersi del virus: “Se riaprissero il 15 febbraio a fine mese vedremo i risultati, non credo che saranno aperture a lungo termine”, spiega. “Io avrei fatto stare chiuso e avrei rimborsato agli operatori il tempo delle chiusure”, aggiunge.

In virtù della decisione del Cts, Coldiretti stima infatti che la riapertura degli impianti sciistici è attesa da 3,5 milioni di italiani: una decisione destinata ad avere effetti non solo sulle piste ma anche sull’intero indotto delle vacanze in montagna, dall’alloggio alla ristorazione, dagli agriturismi ai rifugi fino alle malghe con la produzione dei pregiati formaggi.

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