La storia di Spalletti è stata una scalata continua sulla panchina di 9 club

Cantore di un popolo innamorato di mimiche e gestualità, aforismi e metafore gonfie di passione e piene di verità, Luciano Spalletti è riuscito a fare breccia nei cuori dei napoletani in campo ma anche con le parole. Tante ma mai scontate. Al di là della tattica e della tecnica, l’allenatore di Certaldo, per la prima volta campione d’Italia, ha usato frasi ad affetto per spiegare il suo concetto di calcio e il suo approccio al lavoro a Napoli.

E questo suo modo di proporsi ha trovato terreno fertile proprio in una città come Napoli che lo ha amato fin da subito, per la sua dedizione nel regalare partite spettacolo, aver saputo dare vibrazioni con un atteggiamento tattico a tratti sfrontato e sempre coraggioso, fatto di corsa, equilibrio e genialità al servizio della tattica. E questo atteggiamento, con richiami in conferenza stampa spesso alla vita agreste e ai sacrifici richiesti dalla terra affinché dia i suoi frutti, hanno in qualche modo stregato la platea napoletana, che ha visto in ‘Lucianone’ l’uomo giusto per arrivare al traguardo inseguito da oltre tre decadi di silenzi, vissuta anche con un fallimento societario.

Dal tricolore mancato a Roma a quello del Napoli

Spalletti con questo scudetto chiude un cerchio personale, si prende una grande rivincita dopo quel tricolore mancato a Roma, altra piazza complicata e difficile che però non riuscì a seguirlo fino in fondo, obnubilata dal braccio di ferro con ‘l’imperatore’ Totti che ha finito per far diventare il toscano un acerrimo nemico del numero 10. La storia di Spalletti è stata una scalata continua sulla panchina di 9 club: dalla Serie C con l’Empoli allo scudetto e all’Europa passando per Sampdoria, Venezia, Udinese, Ancona, Inter, Roma, San Pietroburgo e Napoli. E ha probabilmente raccolto meno di quanto racconta la sua bacheca che raccoglie due Coppa Italia e una Supercoppa Italiana con la Roma un campionato e una Coppa e una Supercoppa russa con lo Zenit e una coppa Italia di serie C con l’Empoli nel lontano 1996.Oltre alle qualità di campo con la sua grande preparazione tecnico-tattica, a colpire è sempre stata la sua meticolosità e dedizione che mette nel lavoro organizzando tutto nei minimi dettagli con gli uomini del suo staff, dal preparatore al match analyst. “Capii immediatamente di avere di fronte un tecnico giovane bravissimo e lo dimostrò portando l’Udinese in Champions” dichiarò tempo fa Andrea Carnevale responsabile scouting dell’Udinese raccontando di un giovane Spalletti (portò i friulani al quarto posto nel 2005) che ha raccolto anche i complimenti di Totti (“Ho sempre detto che è uno dei migliori allenatori che ci sono in circolazione e lo dirò sempre”).

 

Fin dall’inizio ha sempre creduto nel potenziale del suo Napoli, non si è fatto prendere dall’ansia quando ha avuto le assenze. E ha dato fiducia al gruppo, che ha creduto in lui e si è rafforzato attorno al carisma di un allenatore che ha saputo trasformare la qualità individuale in collettiva, con una forza tecnica e mentale. La vera differenza è stata quella di essere riuscito a mettere i campioni a disposizione della squadra. L’annata buona, Spalletti l’ha capita fin dai primi mesi e l’ha voluta sorseggiare come quella del buon vino che produce nella sua tenuta in Toscana, invitando l’ambiente napoletano a disinnescare la miccia, spegnere le polveri, ripetere fino alla noia che ogni partita e ogni avversario hanno la stessa importanza. Un modo anche per esorcizzare quella paura di vincere. Perché dopo una carriera che tutti ti riconoscono di eccellenza, quando arriva il momento di raccogliere ci si domanda se questa favola sia tutta vera. Ora può entrare nell’albo d’oro come Bianchi e Bigon e guardare dall’alto il Vesuvio dopo una scalata trionfale.

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