Il nuovo Indice Globale della Fame presentato a Milano da Cesvi, che cura l'edizione italiana

Settecentocinquanta milioni di persone nel mondo soffrono la fame e tra loro a patire di più sono le ragazze: donne e bambine sono circa il 60% del totale delle vittime della fame acuta. Il quadro emerge dall’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index – GHI), curato da Cesvi per l’edizione italiana e redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern Wordlwide, organizzazioni umanitarie che fanno parte del network europeo Alliance2015. Il rapporto è stato presentato oggi a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, che ha ospitato l’iniziativa. L’analisi, che calcola il punteggio GHI di ogni Paese sulla base dello studio di quattro indicatori (denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni) è stata presentata alla vigilia dell’apertura della Cop28 a Dubai. Più in generale, il sommarsi di diversi fattori (l’impatto di disastri climatici, guerre, crisi economiche e pandemie) provoca un impatto maggiore sui giovani, spiega ancora Cesvi: l’instabilità alimentare attuale significa rischiare una vita adulta di povertà estrema, di soffrire la fame, di vivere in contesti incapaci di far fronte ai disastri climatici e all’intrecciarsi di altre crisi. “Quando abbiamo di fronte drammi come conflitti e guerre abbiamo situazioni che non consentono di lavorare al meglio alle agenzie multilaterali” ha detto il vicedirettore della Fao Maurizio Martina, rispondendo alle domande dei giornalisti sul rischio fame collegato alla guerra in Medioriente. Il riferimento è alle difficoltà di alcuni aiuti umanitari a entrare a Gaza. “I conflitti rimangono la principale causa della fame nel mondo”, precisa ancora Martina, “di questo l’opinione pubblica si era un po’ dimenticata e adesso abbiamo di nuovo di fronte il dramma della guerra legato al dramma della fame, questo mi pare evidente”.

L’80% di chi soffre la fame è in zone colpite da catastrofi naturali

L’80% di chi soffre la fame nel mondo, vive in zone particolarmente colpite da catastrofi naturali. Il cambiamento climatico ha un impatto diretto e significativo sull’insicurezza alimentare: all’aumentare di temperature e disastri climatici, crescono la difficoltà e l’incertezza nel produrre alimenti. Il 75% di chi vive in povertà nelle zone rurali si affida alle risorse naturali, come foreste e oceani per la sopravvivenza, ed è quindi particolarmente vulnerabile ai disastri. Secondo il World Food Program, spiega Cesvi, l’80% delle persone che soffrono la fame sul Pianeta vive in zone particolarmente colpite da catastrofi naturali. Entro la metà del secolo, nello scenario peggiore, per colpa del cambiamento climatico potrebbero esserci fino a 158,3 milioni di donne e ragazze in più in povertà (16 milioni in più rispetto a uomini e ragazzi), mentre l’insicurezza alimentare colpirà almeno 236 milioni in più di donne e ragazze (rispetto ai 131 milioni di omologhi), spiega Cesvi, in base ai dati UN Women and UN DESA ‘Progress on the Sustainable Development Goals: The gender snapshot 2023’. “In molti Paesi a basso e medio reddito le donne, soprattutto quelle appartenenti ai gruppi a basso reddito, sono responsabili della produzione e della preparazione del cibo, così come del reperimento di acqua e legna da ardere – si legge nel GHI -. Durante i periodi di scarsità di cibo, le donne e le ragazze spesso mangiano di meno e per ultime, e ciò le espone maggiormente all’insicurezza alimentare e nutrizionale”. 

Aumenta la fame anche in Europa

Europa e America del Nord non sono immuni dalla piaga della fame e dall’insicurezza alimentare: il quadro emerge dall’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index – GHI), curato da Cesvi per l’edizione italiana e presentato oggi a Milano. Tra il 2021 e il 2022 sia l’America settentrionale sia l’Europa hanno registrato una leggera crescita dell’insicurezza alimentare moderata o grave: questa tendenza all’aumento è stata riscontrata in tutte le sottoregioni dell’Europa, a eccezione dell’Europa meridionale. L’elevata inflazione interna dei prezzi alimentari ha messo sotto pressione, infatti, sia i Paesi a basso sia ad alto reddito, anche in queste zone. Alcune di queste regioni (come l’America settentrionale) non sono coperte dal GHI (l’inclusione nel GHI è determinata dalla prevalenza della denutrizione e dai dati sulla mortalità infantile risalenti al 2000, solo i Paesi con valori superiori alla soglia molto basso per uno o entrambi gli indicatori a partire dal 2000 sono inseriti nel GHI) ma il rapporto rileva ugualmente un aumento dell’insicurezza alimentare in queste aree. Con un punteggio di 6,1 (basso), la regione Europa e Asia centrale ha i migliori risultati al mondo sul tema. Però, nel periodo 2020-2022, il 10,5% della popolazione dell’Europa orientale e il 18,4% di quella dell’Asia centrale hanno sperimentato un’insicurezza alimentare moderata o grave. Nell’America settentrionale, nel 2020-2022, il 7,8% della popolazione ha sperimentato insicurezza alimentare moderata o grave, così come il 5,1% in Europa settentrionale, l’8,5% in Europa meridionale e il 4,9% in Europa occidentale. 

In Italia eventi climatici shock

L’Italia non è immune agli shock climatici che stanno colpendo il Pianeta. Lo sottolinea Cesvi. Trovandosi nella regione Mediterranea, uno degli ‘hotspot’ del cambiamento climatico, con un riscaldamento che supera del 20% l’incremento medio globale e con una forte riduzione delle precipitazioni, l’Italia patisce il cambiamento climatico, che è considerato dal GHI come uno dei fattori che aumentano il rischio della fame nel mondo. I dati riportati da Cesvi fanno riferimento al Rapporto ‘Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia’ della fondazione Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc). Secondo le previsioni, dice ancora Cesvi, nel 2050 nei giorni di forte pioggia l’intensità delle precipitazioni aumenterà in ogni scenario, mentre le notti tropicali in cui la temperatura non scende mai sotto i 20°C arriveranno fino a 18 in un anno e i giorni consecutivi senza pioggia aumenteranno, alimentando gli incendi. Nelle città, i cambiamenti climatici amplificano i rischi per la salute, con aumento della mortalità e dei casi di malattie cardiovascolari e respiratorie. Questo mentre nel 2080 calerà fino a -40% la portata di acqua nei fiumi. I cambiamenti climatici aumentano anche la diseguaglianza economica tra le regioni: gli impatti più negativi sono maggiori nelle zone più povere, con indicatori di uguaglianza che peggiorano fino al 61% nel 2080.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata

Tag: , ,