Dalle proteste del 2011 al caos attuale: viaggio nel Paese diviso tra due governi, le milizie e l'Isis

A cinque anni dall'avvio della rivolta contro la dittatura di Muammar Gheddafi la Libia è uno Stato attraversato da caos e guerra civile, per il quale ancora non si è riusciti a trovare un accordo su un governo di unità nazionale, mentre aleggia l'ipotesi di un nuovo intervento militare straniero.

A contendersi il controllo del Paese sono i due governi di Tobruk e Tripoli, che però devono fare i conti anche con altre forze in campo: l'Isis, gli altri gruppi jihaidsti e le milizie.

Fu sull'onda delle "proteste di successo" scoppiate in Tunisia ed Egitto – dove uno dopo l'altro erano caduti per volontà delle piazze i dittatori Zine el Abidine Ben Ali e Hosni Mubarak – che in Libia fu convocata per il 17 febbraio del 2011 la cosiddetta 'giornata dell'ira'. Ma i fatti precipitarono: due giorni prima di quella data l'avvocato e attivista libico Fethi Tarbel, impegnato nella difesa dei diritti dei prigionieri di coscienza, fu arrestato a Bengasi, la seconda città del Paese, e accusato di incitare una rivolta dei detenuti. L'arresto scatenò un'ondata di proteste proprio nella città di Bengasi, che sfociarono in violenti scontri con un bilancio di tre morti e 38 feriti, la maggior parte agenti di polizia. La rivolta partiva dunque dalla Cirenaica, culla del dissenso nei confronti del colonnello.

Un mese dopo, mentre le truppe fedeli a Gheddafi avanzavano verso Bengasi, epicentro della rivolta, le potenze internazionali presero una decisione che cambiò il corso del conflitto e facilitò la vittoria dei ribelli: il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite adottò una risoluzione ad hoc e il 17 marzo la Nato intraprese un intervento militare che permise agli anti Gheddafi di prendere Tripoli in sei mesi. Tradito e abbandonato, Gheddafi scappò a Sirte, sua città natale, dove fu catturato e picchiato da una folla di persone fino alla morte.

Ma cosa è successo a quel punto? Da allora il Paese è scivolato nel caos: dopo le ultime elezioni del 2014, il cui risultato non è stato riconosciuto da alcuni gruppi islamisti, il potere è diviso fra due governi, cioè quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, e quello di Tripoli, non riconosciuto internazionalmente. E del caos approfittano gruppi jihadisti: quelli legati allo Stato islamico (noto con le sigle Isil e Isis, o Daesh in arabo), visto che intanto il 29 giugno 2014 Abu Bakr al-Baghdadi aveva proclamato un califfato a cavallo tra Siria e Iraq cominciando a raccogliere accoliti in giro per il mondo; ma anche gruppi legati ad al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), che hanno guadagnato terreno estendendo la loro influenza in Nord Africa.

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