La Corte Costituzionale si dovrà pronunciare sull'illegittimità costituzionale della norma che prevede le limitazioni al beneficio per gli stranieri

È slittata nuovamente l’udienza, prevista per martedì 21 maggio, in cui la Corte Costituzionale è tenuta a pronunciarsi sulla eventuale “illegittimità costituzionale” del “requisito” dei 10 anni di “residenza” in Italia previsto dalla legge sul reddito di cittadinanza per percepire il beneficio. Il procedimento davanti alla Consulta, nato da una causa civile in corso fra l’Inps e 6 cittadini stranieri (comunitari) davanti alla Corte d’appello di Milano, è stato rinviato e iscritto ‘fuori ruolo’ (senza una data fissata) dalla Corte in attesa di due pronunce pendenti davanti alla Corte di Giustizia Europea del Lussemburgo che riguardano sempre il criterio di residenza ma per i rifugiati politici e i titolari di permesso unico di lavoro. Ma l’Inps stima che, se i giudici costituzionali si pronunciassero dichiarando l’incostituzionalità del requisito, i “maggiori oneri” che avrebbe lo Stato sarebbero circa 850 milioni di euro. È quanto emerge da un documento interno all’Istituto nazionale di previdenza sociale consultato da LaPresse ed elaborato dalla Direzione Studi e Ricerche – Coordinamento Generale Statistico Attuariale dell’ente presieduto da Gabriele Fava.

I profili costituzionali della decisione

Dal documento Inps, datato 8 maggio 2024 e firmato dai dirigenti Gianfranco Santoro e Giulio Mattioni, emergono i profili finanziari delle prossime decisioni dei giudici costituzionali ed europei: sono 106mila i nuclei familiari a cui fra 2019 e 2023 è stata respinta la richiesta del sussidio di welfare per mancanza del requisito dei 10 anni di residenza. Oltre 100mila famiglie che se “presentassero istanza di riesame” oppure si decidesse di “riesaminare d’ufficio tutte le domande respinte o revocate” comporterebbero una spesa di 850 milioni di euro per sanare la situazione. Tra i giuristi c’è anche chi non è convinto che si possa ottenere la restituzione ex post su una domanda già bocciata, ma l’ente previdenziale fa i conti sullo scenario più drastico. Se la norma sui 10 anni, di cui gli ultimi 2 continuativi, non fosse mai stata in vigore, l’Inps stima che avrebbe speso in quattro anni altri 3 miliardi e 88 milioni di euro. Il calcolo è basato sul rapporto tra stranieri residenti in Italia da 0-9 anni e stranieri residenti da 10 o più anni (76%) moltiplicato per l’importo medio del reddito di cittadinanza/pensione di cittadinanza ottenuto da stranieri Ue, extra Ue in possesso di permesso di soggiorno di lungo periodo, i loro familiari e i titolari di protezione internazionale. In media sono stati 136mila beneficiari ogni mese, per 524 euro di assegno.

Il tema dell’assegno di inclusione

Nei calcoli l’Istituto stima inoltre cosa accadrebbe con una sentenza sfavorevole allo Stato nei prossimi 9 anni con l’assegno di inclusione (Adi), lo strumento varato nel 2023 che ha ‘sostituito’ il Reddito di Cittadinanza prevedendo un requisito di residenza “qualificata” più basso (5 anni). Nonostante non sia “mai” stato “ipotizzato uno scenario senza requisito della residenza” durante l’approvazione della norma, questi sarebbero gli “effetti finanziari diretti sulla sola spesa per prestazione in caso di scenario”:  nel 2024 +214 milioni di euro che salgono fino ai +236 milioni del 2033.  Ci sarebbero maggiori spese per oltre 2,2 miliardi di euro in 9 anni. 

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