L'atleta spiega di essersi rialzata pensando che ci sono "drammi più gravi, non sono sotto le bombe a Gaza"

Mai nella sua carriera, gloriosa quanto tribolata, aveva visto tutto così nero, travolta da quella profonda disperazione che colpisce anche i più saldi e tenaci. Sono ancora troppo pochi 45 giorni per metabolizzare il dramma dell’infortunio in allenamento che le ha spezzato la tibia e polverizzato la parte finale della stagione. Ma per Sofia Goggia sono comunque sufficienti per raccontare il suo stato d’animo, la sua idea di rinascita ma soprattutto ripercorrere con lucidità quei giorni di tempesta emotiva che hanno provato a scalfire anche una roccia come la più vincente discesista della storia dello sci azzurro.

La 32enne bergamasca da qualche settimana è tornata ad allenarsi in palestra e in piscina, non nascondendo la fatica fisica e il contraccolpo morale per rimettersi in piedi ammettendo di aver avuto profondi momenti di sgomento e sconforto. “E’ stata una sofferenza. Mi sono rotta il pilone tibiale trasversalmente in più parti, un trauma da compressione e torsione fortissimo. I primi 20 giorni sono stata malissimo, ho visto nero, ero emotivamente e profondamente disperata. Mentre stavo cadendo, ho subito capito che mi ero frantumata la tibia e non sapevo come dirlo ai miei tecnici. Mi sono tolta lo scarpone da sola e non ho sentito tutto il dolore che ho percepito dopo l’operazione”, ha dichiarato l’azzurra segnata da questa ennesima ‘salita’ nella sua carriera, comunque fredda e consapevole nel ridimensionare l’entità di quanto le è accaduto.

So che ce ne sono ben peggiori ma per un atleta non c’è nulla di più difficile che dover affrontare un infortunio. Ho reagito pensando che al mondo c’erano drammi più gravi del mio. Non sono sotto le bombe di Gaza” – ha spiegato – “e ho cercato di buttare lo sguardo oltre dove ci sono contesti di sofferenza ben più gravi che la rottura di una gamba dalla quale di guarisce”. Ora la parte più difficile sembra essere alle spalle e guarda al futuro prossimo con una certa fiducia: “I tempi per il ritorno in pista sono di sei mesi, quelli standard. Una volta saldato l’osso e se ho un fisico idoneo per sciare posso anche andare prima, accorciando i tempi, cosa che non voglio fare ora ma non è detto che debba aspettare i canonici sei mesi. Credo che il recupero non sarà tanto difficile a livello fisico. Una volta che si salda l’osso ti senti in grado di poter progredire con i carichi. Non è facile però sono disposta a farlo. Voglio guarire e tornare sugli sci”, è la promessa che fa a se stessa e ai suoi tifosi. Per dare un senso a questi giorni di dolore e di rinascita, Goggia si è gettata a capofitto sui libri, accelerando il suo percorso di studi universitario. “Ho già dato due esami e ne ho altri 4-5 nella prossima sessione, cerco tra le sedute di fisioterapia e le varie terapie di sfruttare il tempo che ho a disposizione per portarmi avanti e fare più esami possibili”, ha confessato che sta preparando statistica e storia dei partiti politici. Il tempo non va dunque sprecato. Neanche così, con una tibia da saldare e un morale scalfito da rimarginare in fretta: “La cosa che mi ha fatto più male, rispetto ai tanti infortuni del passato, è essermi infortunata nel corso di un allenamento tranquillo. Questo è stato più difficile da accettare, proprio perché non è un infortunio banale. Se ti fai male in gara a 140 km/h e sei al limite lo accetti di più. Il fatto di ritrovarmi ancora lì in ospedale nonostante i miei sforzi affinchè tutto andasse nel mio verso desiderato, mi ha fatto dire ‘più di così cosa potevo fare?'”. Rialzarsi e riprendere in mano una carriera dorata. 

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata