Nato Mimmo Francesco Attanasi, a New York è diventato il rapper Jay Carter. Ed è deciso a restarlo

Jay Carter, rapper italo-americano da 20 millioni di visualizzazioni, si racconta a Barbara Fabbroni per LaPresse.it

Com’è diventato rapper?
“Tutto è nato in un letto d’ospedale dove lottavo per sopravvivere a causa di una grave malattia. Un sogno mi ha fatto vedere la strada che poi avrei percorso. Ho sognato di essere in una sala d’incisione mentre stavo registrando il mio primo disco. È stata una folgorazione. Uscito dall’ospedale sapevo cosa avrei dovuto fare. E l’ho fatto”.

Perché andare a New York?
“New York è il cuore della musica rapper. Volevo imparare da loro. Avevo bisogno di comprendere dove è nato il rap e soprattutto cosa realmente significa essere un rapper”.

Jay Carter: “Ero sbarcato a New York fornito solo della mia determinazione”

New York inizio o arrivo?
“Quando sono arrivato lì non avevo nulla. Se non la mia decisione. Volevo farcela. È stato molto duro, faticoso. Ho conosciuto delle persone, sono come dei fratelli, loro mi hanno aiutato. Non conoscevo l’inglese. Hanno visto la mia motivazione e ho vinto la sfida. Loro mi hanno apprezzato, mi hanno permesso di accedere al loro mondo. Hanno capito che facevo sul serio. Tendendomi una mano hanno creato un legame indelebile tra me e loro”.

Quando era in Italia faceva musica?
“Qualcosa, ma non come lì. Non è lo stesso suono. Non aveva nulla del mondo americano”.

Il lusso eccessivo come scelta di vita?
“Il modo di vestirsi, auto di lusso, diamanti, cercano di dare un messaggio alle persone. È il loro modo di riscattarsi dal loro essere stati schiavi. Tipo: io vi posso comandare. Difatti loro comandano un mondo, una corrente culturale musicale che appartiene solo a loro – almeno quella americana”.

Perché è tornato in Italia visto che là aveva successo?
“Sono tornato due anni fa per girare il primo video tutto italiano, “Money Rain”. Dopodiché è arrivata la pandemia e come altre persone sono rimasto bloccato. Appena sarà possibile rientrerò a New York. Nel frattempo, avendo studiato produzione alla Full Sail University in Florida, vorrei portare qui la mia esperienza, fare qualcosa nella mia terra. Io sono italiano”.

Jay Carter: “Nel mio lavoro tutto deve essere perfetto”

C’è di più?
“Tornare a casa, dopo New York, è come ripartire da dove si è iniziato. Nel luogo chiamato casa, c’è tutto ciò di cui un artista ha bisogno per tessere la sua opera. Per dar vita a qualcosa di ancor più tangibile”.

Cosa ama del suo lavoro?
“La perfezione. Tutto deve essere perfetto. Fintantoché non è come voglio non lancio nulla. Cerco di curare tutto: musica, parole, suoni, scene, immagini”.

Ha trovato difficoltà a inserirsi nel panorama musicale italiano?
“In America la difficoltà è stata agli inizi per la lingua. La strada, il ghetto sono veramente pericolosi. In Italia è tutto diverso, la difficoltà sono i tempi lunghi di risposta a ogni singola proposta. Tuttavia sto lavorando a progetti interessanti”.

Qualcosa di più?
“Dopo il successo del mio ultimo singolo “Ronchiverdi Club” (20 milioni di views su Instagram) sono stato contattato dall’imprenditore e direttore sportivo di calcio Fabio Cordella. Ha voluto partecipassi alla realizzazione del video/sigla della serie televisiva “The Wine Of Champions”. Sarà distribuita nel 2022 a livello internazionale. La sigla è stata scritta e composta dal cantautore brasiliano Gustavo Almeida. Fabio e Gustavo hanno fortemente voluto che cantassi la parte rap all’interno della sigla. Tra i protagonisti ci saranno leggende del calcio. Nomi come Ronaldinho, Roberto Carlos, Zamorano, Wesley Schneider, Vincent Candela, Buffon, Marcio Amoroso, Cafu, Seba Frey, Marco Materazzi”.

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