Il M5S "viene descritta come una forza politica spaccata, ma non è così, rimarrete sorpresi", assicura. Usando parole che provano a tirare dentro diverse anime

C’è un silenzio rumoroso in una delle stanze di casa Cinquestelle. Da quando è stata scritta la parola fine alla querelle M5S-Rousseau, infatti, Giuseppe Conte si è preso la scena pubblica e, contemporaneamente, sono ‘sparite’ le correnti. Chi conosce i meccanismi del Movimento assicura che non si tratta di un passo indietro definitivo, semmai “attendismo” per capire qual è il progetto del leader in pectore.
Non tanto sulla transizione ecologica o la giustizia, semmai sulla regola dei due mandati o la governance interna. Accontentare tutti sarà praticamente impossibile, infatti l’obiettivo di Conte è scontentarne il meno possibile. Il M5S “viene descritta come una forza politica spaccata, ma non è così, rimarrete sorpresi”, assicura. Usando parole che provano a tirare dentro diverse anime: “Non sarà un partito moderato, ma parleremo ad un elettorato moderato. Saremo radicali nel perseguire un processo riformatore, non avremo veti pregiudiziali ma valuteremo con grande attenzione. I valori non cambiano, ma saremo ancora più intransigenti di prima sui principi”.

Messaggi per conservare il presente e, magari, recuperare qualche figura di peso dalla nutrita pattuglia di ex. Che pongono una sola condizione per dialogare: l’uscita dal governo Draghi. Una soluzione che non dispiacerebbe nemmeno a una parte di Movimento che ha votato la fiducia all’ex Bce, ma ha sempre sentito strette le scarpe della ‘grosse koalition’ all’italiana. E proprio per questo spera in Conte, o meglio, in una sua eventuale sete di rivalsa per la caduta rovinosa del suo esecutivo. Anche su certi temi si gioca il braccio di ferro con l’ala ‘governista’, che vorrebbe invece un cambio di passo verso una forza più moderata, di governo e vede nell’ex premier la figura istituzionale più adatta a guidare la transizione politica. Così annuncia che, una volta insediato, presenterà una proposta agli altri leader: “Una riforma costituzionale che possa rafforzare il nostro sistema“. Perché “non è possibile che il sistema Italia sia affidato al singolo personalismo”. Quando gli viene chiesto se si tratta del presidenzialismo, il futuro segretario pentastellato non si sbottona: “Non voglio anticipare nulla, ma è un passaggio fondamentale, dobbiamo rafforzarci”.

Tornando alle questioni interne al Cinquestelle, da quale parte penderà l’ago della bilancia di Conte dipenderà, quindi, la decisione di rientrare di una parte di fuoriusciti. Non di certo Emilio Carelli, che ha aderito a Coraggio Italia di Toti e Brugnaro: “Ho grande considerazione di Conte”, ma “ho lasciato il M5S perché consideravo quel sogno finito”. Mentre, per capirci, uno come Nicola Morra ci penserebbe seriamente ad accettare la mano tesa, a patto che – lo ha detto apertamente – ci sia un gesto di rottura col presente. Lo stesso vale per gli altri volti noti, come Alessio Villarosa, Barbara Lezzi e Alessandro Di Battista. L’ex deputato è volato in Sudamerica più di un mese, ma al suo ritorno in patria incontrerà l’ex premier, col quale, intanto, si tiene in contatto strettissimo. Il feeling tra i due è palese: “Quando tornerà ragioneremo insieme, penso di poterlo ricoinvolgere”. Questo, però, non farà tutti fa piacere, ma in questa fase, con le amministrative alle porte, bisogna recuperare più aree possibile, soprattutto ‘ortodosse’, per scongiurare un flop alle urne.

L’attenzione è massima sulla tornata elettorale, primo, vero banco di prova del neo Movimento a guida Conte. Che intanto vede affacciarsi all’orizzonte i primi problemi di gestione. Secondo quanto apprende LaPresse, infatti, nei gruppi si è diffusa l’indiscrezione che l’ex premier si avvarrà non solo di una ‘segreteria’ nazionale, ma anche di governance regionali con cui avere uno scambio costante per tastare il polso della situazione sui territori. Ma – riferiscono fonti parlamentari – le squadre dovrebbero essere scelte direttamente dal vertice, senza passare da un voto degli iscritti, né degli attivisti regionali. Una modalità che sembra non andare proprio giù a una parte delle truppe, che sarebbero pronte a protestare. Gli ostacoli, insomma, non mancano, ma anche questa è la dura vita di un leader di partito.

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