Solo dieci giorni fa, l'oppositore russo era stato messo in una cella di punizione individuale

Se ne va anche l’ultimo oppositore di Vladimir Putin in Russia. Alexei Navalny è morto nella colonia penale n. 3 del distretto autonomo russo di Yamalo-Nenets. Secondo il Servizio penitenziario russo, Navalny è morto dopo essersi sentito male dopo una passeggiata “perdendo quasi subito conoscenza”. “Immediatamente è arrivato il personale medico dell’istituto ed è stata chiamata un’ambulanza – si legge in una nota del Servizio penitenziario – sarebbero state eseguite tutte le misure di rianimazione necessarie, che non hanno dato risultati positivi, i medici dell’ambulanza hanno dichiarato il decesso del detenuto”. Il Cremlino afferma di non sapere le cause le cause della morte.

“Non lo so. Dovrebbero essere i medici a scoprirlo in qualche modo”, dichiara il portavoce Dmitry Peskov.

Solo dieci giorni fa, l’oppositore russo era stato messo in una cella di punizione individuale. L’addetto stampa di Navalny, Kira Yarmysh, non ha specificato il motivo, ma ha detto che l’attivista ha già trascorso mesi in isolamento da quando è stato incarcerato nel 2021, affrontando la punizione più di venti volte per infrazioni minori, come il non abbottonarsi correttamente l’uniforme della prigione.

La vita di Navalny e la sua lunga storia da oppositore

Avvocato classe 1976 è nato a Butyn da una famiglia di origini ucraine. Il suo impegno politico inizia nel 2000, quando aderisce al partito di opposizione Yabloko, che lascerà nel 2007 per dissidi interni. Un anno dopo lancia il suo blog, dal quale lancia le prime accuse di corruzione al governo, facendo da megafono alla dissidenza interna e chiamando a raccolta i manifestanti nelle grandi proteste del 2011. La lunga vicenda giudiziaria che lo vede protagonista appare come una diretta conseguenza della crescente ostilità del Cremlino nei suoi confronti. Così, almeno, la vede la Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2018 condanna Mosca a un risarcimento di 50mila euro per danni morali e di 1.025 per danni materiali, sostenendo che i numerosi arresti subiti da Navalny fossero motivati dalla necessità di “sopprimere il pluralismo politico”.

La sentenza di Strasburgo arriva quando Navalny è già finito alla sbarra nel processo Yves Rocher, società russa che lo ha accusato dell’appropriazione indebita. Una vicenda che tornerà a fare capolino qualche anno più tardi. Il 17 gennaio 2021 Navalny viene, infatti, fermato all’aeroporto Sheremetyevo di Mosca per aver violato la condizionale nel caso Yves Rocher. L’attivista rientrava dalla Germania, dove aveva ricevuto cure per un avvelenamento dall’agente nervino Novichok, per il quale Navalny ha chiamato direttamente in causa il Cremlino e che gli era costato 32 giorni di ricovero, 24 dei quali in terapia intensiva. L’attivista aveva accusato un malore durante un volo dalla Siberia a Mosca. Mentre sconta 2 anni in una colonia penale di Mosca, arriva la nuova condanna, stavolta a 9 anni. L’accusa è ancora di appropriazione indebita, cui se ne aggiunge un’altra di oltraggio alla corte.

Tutti i tentativi di Navalny di alleggerire il regime carcerario sono falliti. A ottobre 2022 la Cassazione russa ha rigettato il suo ricorso contro la condanna, mentre a inizio gennaio un tribunale ha respinto la sua richiesta di uno stop al regime di isolamento. Ad aprile 2023 una nuova accusa, stavolta di disordini in carcere, per la quale Navalny rischia di scontare altri 5 anni. Alla fine del mese ancora un’accusa, stavolta per terrorismo, per la quale Navalny sarà processato da un tribunale militare e un nuovo prolungamento del periodo di isolamento in carcere di ulteriori 15 giorni. L’oppositore ha portato avanti le sue battaglie anche attraverso la Fondazione anticorruzione che svolgeva indagini su personaggi di spicco legati all’establishment putiniano.

Tra le inchieste più famose c’è quella del 2017 contro l’ex presidente Dmitry Medvedev, ma anche quelle che prendono di mira, oltre allo stesso Putin, altri pezzi da novanta del governo come il ministro degli Esteri, Serghei Lavrov e quello della Difesa, Serghei Shoigu. Bollata dal Cremlino come un’organizzazione estremistica, la fondazione è stata liquidata da Navalny nel 2020. Appena 4 anni prima la sfida dell’attivista a Putin si era spostata sul piano elettorale, con l’annuncio della sua candidatura per le presidenziali del 2018. A seguito delle condanne giudiziarie, la commissione elettorale centrale russa lo ha però ritenuto inidoneo alla candidatura almeno sino al 2028.

Navalny nel 2021 lancia quindi l’iniziativa del ‘voto intelligente’ in occasioni delle parlamentari russe. Una app propone agli elettori circoscrizione per circoscrizione il candidato con maggiori possibilità di battere i candidati di Putin con l’obiettivo di non disperdere il voto di protesta. Il progetto, tuttavia, naufraga anche per il boicottaggio di big tech come Apple e Google che, sotto le pressioni del Cremlino, eliminano l’app dai rispettivi store digitali. Nel 2021 il Parlamento europeo ha insignito Navalny con il premio Sacharov, riconoscendo il ruolo svolto nella lotta alla corruzione e per la salvaguardia dei diritti umani in Russia. Subito dopo l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022, l’attivista ha definito la guerra “una mossa di Putin per coprire la corruzione, il furto compiuto a danno dei cittadini russi”.

Il 14 di aprile dello scorso anno un nuovo malore, denunciato dal suo principale collaboratore, che ha ventilato la possibilità di un altro tentativo di avvelenamento. L’anno scorso è stato trasferito in una delle colonie penali più remote della regione di Yamalo-Nenets in Siberia, nel tentativo di isolarlo dal resto del mondo. “Questa è una chiara indicazione del fatto che il sistema legale russo continua ad essere strumentalizzato contro Navalny e di quante autorità russe hanno paura di lui, anche nel contesto della guerra di aggressione in corso da parte della Russia contro l’Ucraina e delle elezioni presidenziali russe di marzo”, osserva scriveva l’Alto rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell. Lo scorso 17 gennaio, l’Ue aveva ricordato i tre anni dall’arresto e il suo “avvelenamento con un agente nervino tossico del gruppo ‘Novichok’ vietato dalla Convenzione sulle armi chimiche, di cui la Federazione Russa è uno Stato parte” e “condannato con la massima fermezza tutte le sentenze motivate politicamente contro di lui per azioni che costituiscono attività politiche legittime e anticorruzione”.

 

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