Gaza (Striscia di Gaza), 10 lug. (LaPresse) – Un incessante flusso di feriti arriva all’ospedale Al Shifa di Gaza, la maggiore struttura sanitaria della Striscia, mentre il bilancio delle vittime dei raid israeliani cresce di ora in ora. Una situazione difficile da affrontare, soprattutto per un ospedale nel quale già negli ultimi mesi mancavano mezzi e materiali: strumenti chirurgici, ma anche barelle e persino disinfettanti e garze. A spiegarlo a LaPresse è il dottor Sobhi Skaik, chirurgo del nosocomio, raggiunto telefonicamente. A pesare, denuncia, è l’isolamento: “La Striscia di Gaza – dice – è un’area completamente chiusa, non entra e non esce niente”. “Ora hanno aperto il valico di Rafah per i feriti e siamo molto grati di questo” ma, è il suo appello, “il valico di Rafah deve essere aperto per tutti, non possiamo restare chiusi qui dentro”.

“DONNE E BAMBINI SONO UN TERZO DEI FERITI”. “La situazione – racconta mentre sullo sfondo si sente la voce concitata dei colleghi al lavoro – è molto pesante. Qui all’ospedale abbiamo un flusso continuo di feriti. Ci sono già oltre settanta morti e circa 600 feriti, almeno un terzo dei quali composto di donne e bambini”.

“ARRIVATA UNA BIMBA DI 5 ANNI, MORTI I GENITORI E LA SORELLA”. “Stamattina – prosegue – è arrivata qui una bambina di cinque anni. Stava camminando per la strada insieme alla madre, il padre e la sorella. E’ arrivato un attacco, lei è l’unica sopravvissuta della famiglia, gli altri sono tutti morti. Erano stati a trovare dei parenti per farsi coraggio nel nord di Gaza, stavano tornando a casa a piedi”.

“IN OSPEDALE MANCA TUTTO”. “Qui in ospedale – continua il suo racconto a LaPresse – manca tutto. Il problema principale è la mancanza di strumenti chirurgici, ma assenti sono anche le cose più essenziali: garze, bende, disinfettanti, qualsiasi cosa. Il problema era grave anche prima, negli ultimi mesi la situazione era già brutta da questo punto di vista. Ora è ancora peggio. Questa della Striscia di Gaza è un’area completamente chiusa, non entra e non esce niente. L’elettricità manca spesso, e non abbiamo la benzina per i generatori. E adesso stanno distruggendo anche le infrastrutture, persino l’acqua sta diventando scarsa. Quest’area deve essere riaperta”.

“IL VALICO DI RAFAH DEVE ESSERE RIAPERTO”. “Ora – continua – hanno aperto il valico di Rafah per i feriti, siamo molto grati di questo. Ma il valico di Rafah deve essere aperto per tutti, non possiamo restare chiusi qui dentro”.

“STIAMO MANDANDO PAZIENTI IN EGITTO”. “Ci stiamo organizzando – spiega – per inviare alcuni dei nostri pazienti in Egitto. Li stiamo selezionando, non sappiamo ancora quanti saranno di preciso. Il problema principale è quello degli accompagnatori. Molti non hanno soldi. La questione è: come faranno a vivere in Egitto una volta arrivati là? E chi provvederà agli altri figli o agli altri parenti? E’ un tema umanitario, non è soltanto una questione medica. Non puoi affrontare la cosa solo dal punto di vista strettamente sanitario”.

“ABBIAMO PAURA, TEMI DI MORIRE IN OGNI MOMENTO”. E per chi resta, inclusi i medici, a dominare è la paura. “Noi tutti qui – racconta il chirurgo – abbiamo paura. Ieri sera è avvenuta un’esplosione vicino a dove si trovavano mia moglie e i miei figli. E’ terrificante. Senti che tu e tutta la tua famiglia potreste morire in ogni momento. E’ ingiusto, è disumano”.

“BASTA UCCIDERE, E’ TUTTO QUI”. “Siamo in una pessima situazione – conclude – siamo in un’area completamente chiusa, stiamo perdendo molte vite, molte persone sono ferite, muoiono donne, bambini, famiglie. Le case vengono distrutte, così come le infrastrutture. Manca l’acqua, l’elettricità. Venite a vedere quello che sta succedendo. Bisogna fermare tutto questo. Basta uccidere. E’ tutto qui, basta uccidere”.

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