Nuova Delhi (India), 20 ago. (LaPresse/AP) – “Ignorarci o non sostenerci potrebbe far pensare ad altri gruppi emarginati nel mondo che forse non vale la pena investire in democrazia e non-violenza”. Lo ha detto il primo ministro tibetano, Lobsang Sangay, aggiungendo di essere deluso dal fatto che i suicidi commessi da decine di suoi connazionali non abbiano attirato l’attenzione della comunità internazionale com’era successo invece nel caso del tunisino Mohamed Bouazizi, la cui morte aveva scatenato la primavera araba. Le autoimmolazioni, ha affermato Sangay, sono gesti estremi commessi da persone che non hanno la possibilità di protestare in un altro modo contro le politiche del governo cinese nella loro terra d’origine.
Circa 50 tibetani si sono dati fuoco negli ultimi due anni e soltanto nove di loro sono sopravvissuti. Pechino ha accusato i leader tibetani di incoraggiare i suicidi, ma Sangay ha criticato gli incidenti definendoli una maledizione per l’impegno del suo governo alla non-violenza. Il premier ha tuttavia sottolineato che è suo dovere ricordare al mondo che manifestanti continuano a morire per protestare contro le repressioni nella loro patria.
Sangay ha sottolineato che il suo governo chiede per il Tibet autonomia nell’ambito della Costituzione cinese e che è pronto ad aprire un dialogo con Pechino. Molto, ha aggiunto, dipenderà dalla “composizione della nuova leadership cinese” che sarà annunciata a ottobre durante il congresso del Partito comunista. La Cina, ha aggiunto Sangay, spende miliardi di dollari per organizzare spettacoli come le Olimpiadi di Pechino del 2008 per impressionare il mondo, ma sarebbe molto più utile permettere al leader spirituale dei tibetani, il Dalai Lama, di ritornare nel Paese.
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