Manila (Filippine), 23 nov. (LaPresse/AP) – A due anni esatti dal massacro di Maguindanao, la peggiore strage di giornalisti del mondo, avvenuta nel sud delle Filippine, quasi la metà dei 200 responsabili è ancora in libertà. Il 23 novembre 2009 il clan politico Ampatuan massacrò 57 esponenti del gruppo politico rivale Mangudadatu, tra cui 31 giornalisti, e li seppellì in fosse comuni. I leader del clan Ampatuan e diversi loro collaboratori sono sotto processo per l’attacco, ma la lentezza dei procedimenti ha suscitato la frustrazione dei parenti delle vittime. “Sappiamo che non è semplice ottenere giustizia. Dobbiamo lavorare per averla, non ci viene offerta volontariamente o con facilità”, ha dichiarato Grace Morales, vedova del giornalista Rosell Morales e sorella di un altro reporter ucciso nella strage, Marites Cablitas. “Le famiglie devono agire, farsi forza e continuare la lotta”, ha aggiunto al donna. “Sono passati due anni e non abbiamo ancora ottenuto piena giustizia, perché non tutti i colpevoli sono stati arrestati e condannati”, ha concluso. A ordinare le uccisioni sarebbe stato Andal Ampatuan Sr., anche ex governatore di una regione autonoma musulmana e politicamente alleata dell’ex presidente Gloria Macapagal Arroyo.

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