Il Cdm ha approvato un decreto legge per assicurare le risorse finanziarie all'operazione, il Pd chiede al governo di riferire in Parlamento

Difendere l’interesse nazionale e dei lavoratori. È la scelta sulla rete Tim che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, rivendica come il “primo passo” a cui “seguiranno ovviamente logiche di mercato” della strategia di un governo che si attiva su un dossier “ereditato” e che “si strascina da decenni, che nessuno ha mai avuto il coraggio di affrontare”. Dopo il memorandum of understanding siglato lo scorso 10 agosto tra ministero dell’Economia e il fondo Kkr, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge per assicurare le risorse finanziarie all’operazione – fino a un importo di 2,2 miliardi- mentre il Dcpm autorizza il Mef ad entrare nella Netco. In questo modo, chiosa il ministro Giancarlo Giorgetti, “speriamo che si possa dare un quadro stabile e definitivo a una vicenda che da molto tempo vive una situazione di impasse e nei prossimi mesi potrebbe avere una soluzione definitiva”. Del resto “Kkr non è nuova a Telecom – Tim, esiste già una partecipazione a Fibercop, quello che interessa al governo – evidenzia – è ribadire il controllo pubblico su alcune scelte strategiche su una infrastruttura che noi riteniamo strategica. Siccome questo è un investimento strategico e il controllo della rete, in particolare per alcuni aspetti come Sparkle, lo Stato ci deve essere e noi ci saremo”.

L’intesa che prima della pausa estiva ha formalizzato la ‘cordata’ Mef-Kkr per la rete di Tim prevede un ampliamento, eventualmente, ad altri soggetti istituzionali eventualmente interessati. Come Cdp, il cui coinvolgimento, spiega Giorgetti, “è’ possibile tenendo conto dei vincoli dell’antitrust”. Dal momento che Cassa è è azionista di Tim al 5% e di Open Fiber al 60%, si tratterebbe di una quota sotto il 3%. La partita non dispiace all’Ad, Dario Scannapieco: “Non escludiamo nessuna potenziale cooperazione con l’obiettivo di arrivare a una infrastruttura moderna ed efficiente a beneficio del Paese”, aveva detto a inizio mese. Al tavolo potrebbe sedersi anche F2I, per una quota complessiva intorno al 30-35%: c’è tempo fino al 30 settembre per formalizzare la proposta. Proposta che dovrà necessariamente passare per Vivendi, azionista di maggioranza di Tim. I francesi guidati dal ceo Arnaud de Puyfontaine si aspettano di essere convocati nei prossimi giorni a palazzo Chigi. 

Pd: “Fare chiarezza, governo venga in Parlamento”

“L’operazione su Tim che il governo Meloni ha avallato è un caso unico tra i grandi Paesi europei: la rete di telecomunicazioni – un asset strategico per il Paese – verrà separata dai servizi e privatizzata, finendo sotto il controllo a larga maggioranza del fondo privato americano Kkr. Lo Stato entrerà, ma con una quota di minoranza. Quanto al resto, dobbiamo accontentarci di annunci vaghi e generici”. Così in una nota i senatori del Pd Antonio Misiani e Antonio Nicita. “Il fatidico ‘piano Minerva’ – aggiungono – che il Governo aveva annunciato e che avrebbe dovuto portare ad una riunione e valorizzazione delle diverse reti esistenti è scomparso dai radar in favore di una privatizzazione il cui senso industriale non si comprende e che rischia di depauperare il valore delle reti. Al tempo stesso vengono annunciati oltre 2 miliardi di fondi, di cui 1,2 a valere del Pnrr, parcellizzati in mille rivoli e senza efficacia”.

“Il Partito democratico – annunciano – chiederà alla presidente Meloni e al ministro Giorgetti di venire al più presto in Parlamento a riferire in merito al futuro di Tim e della rete. Vogliamo capire tutti i termini del memorandum, con particolare riferimento alle garanzie sul controllo strategico, la tutela dell’occupazione, gli investimenti, il trattamento dei dati e altri aspetti di grande importanza e delicatezza. Elementi che, ad oggi, sono tutti da verificare prima di esprimere un giudizio compiuto su questa operazione”. 

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