I giudici: "I genitori l'hanno letteralmente accompagnata a morire"

La Corte d’assise di Reggio Emilia ha depositato le motivazioni della sentenza che ha condannato all’ergastolo i genitori di Saman Abbas (Shabbar Abbas e Nazia Shaheen) e a 14 anni di reclusione lo zio Danish Hasnain per l’omicidio della ragazza 18enne di origini pachistane scomparsa nella primavera del 2021 da Novellara e trovata morta un anno e mezzo dopo. Secondo i giudici i genitori della ragazza l’hanno “letteralmente accompagnata a morire“, e non si esclude che a ucciderla materialmente sia stata proprio la madre. Ecco cosa si legge nelle 612 pagine di motivazioni. 

“Non escluso che a ucciderla sia stata la madre”

“La circostanza che Shaheen Nazia (la madre ndr) scompaia dalla vista delle telecamere per un minuto, con Saman ancora in vita, non consente di escludere con certezza che anche lei abbia fattivamente partecipato all’azione omicidiaria, tenendo ferma la figlia mentre Hasnain Danish (lo zio ndr) le afferrava il collo, o che sia stata direttamente, anche da sola, a servare la condotta materiale con cui si è determinata l’asfissia meccanica da strozzamento o da strangolamento che ha condotto alla morte di Saman Abbas”, si legge in un passaggio della sentenza. La madre è ancora latitante. 

“Genitori e zio pienamente coinvolti in omicidio”

In ogni caso, si legge ancora, “la Corte ritiene che, pur persistendo alcune incertezze su chi abbia materialmente ucciso Saman Abbas, sussiste una trama densa e serrata di plurimi e convergenti indizi che consente di inferire che Abbas Shabbar, Shaheen Nazia e Hasnain Danish sono parimenti e pienamente coinvolti nell’omicidio e compartecipi della sua realizzazione”.

“Genitori hanno letteralmente accompagnato la figlia a morire”

Nazia Shaheen, la madre di Saman Abbas, ha “partecipato attivamente ai momenti in cui si è decisa la sorte” della figlia e la “decisione di uccidere la giovane ragazza” è “stata concordata dai genitori nel corso delle telefonate con Danish Hasnain (lo zio ndr)” tanto che “si può affermare con sconfortante certezza che gli imputati – Shabbar Abbas e Nazia Shaheen (rispettivamente padre e madre della 18enne ndr) abbiano letteralmente accompagnato la figlia a morire“, spiegano ancora le motivazioni della sentenza. “Mentre Nazia Shaheen, in modo fermo e determinato, bloccando con un gesto risoluto il marito, si inoltra sulla carraia con Saman, per quel minuto che non consente di escludere sia stata lei l’esecutrice materiale dell’uccisione della figlia, il marito si mostra tormentato, assumendo atteggiamenti che danno conto della drammaticità che sta accadendo, ma resta a osservare senza far nulla – si legge ancora -. Dunque, nonostante il disorientamento interiore che palesa con i suoi atteggiamenti, il fatto che Shabbar Abbas resti lì senza intervenire, conferma plasticamente la sua adesione psicologica al fatto, precedente alla sua consumazione e che, difatti, lo induce ad attendere, e non a impedire, che altri portino a compimento la decisione che anche lui, evidentemente, ha concorso ad assumere e ha voluto”. Per i giudici, la donna avrebbe una “personalità risoluta e ferma” e i toni delle intercettazioni “restituiscono un profilo tutt’altro che succube”.

“Non uccisa per essersi opposta a matrimonio forzato”

“L’istruttoria e la dialettica processuale hanno consentito di chiarire che Saman Abbas non è stata uccisa per essersi opposta ad un matrimonio combinato/forzato“, si legge invece per quanto riguarda il movente del delitto. Si tratta, chiarisce la Corte, di un “elemento che nulla toglie e aggiunge alla gravità del fatto” ma di “una verità che la Corte è tenuta a rilevare”.

Secondo i giudici “diversi elementi concorrono a escludere che il movente dell’omicidio sia “connesso al matrimonio” che la “Corte ritiene combinato e non forzato“. Il “dato acquisito” del fidanzamento, avvenuto in Pakistan nel dicembre 2019 e documentato da “numerose foto” della stessa ragazza durante i festeggiamenti, non è seguito da “chat o conversazioni” tra i due giovani. Saman, scrivono i giudici, ne fa cenno con Saqib Ayub, il ragazzo che la giovane ha iniziato a frequentare dopo averlo conosciuto sui social e che raggiungerà in Belgio sei mesi dopo il fidanzamento. A far scattare l’omicidio non è – secondo i giudici – il no al matrimonio ma la scoperta, da parte dei genitori “a causa anche delle videoregistrazioni delle chat effettuate da Haider” che “è ancora in corso la relazione con Saqib” e “che la figlia sta progettando di fuggire nuovamente”. “Ciò che contava” per la famiglia della giovane “era dissuaderla dall’andare nuovamente via di casa, non con chi si sposasse”. Per la Corte è la fuga la chiave del movente, comportamento ritenuto “grave per la loro cultura”. 

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