Il portavoce di Amnesty International, intervistato da LaPresse, fa un’analisi sullo stato di salute dei diritti umani in Italia e nel resto del mondo

“Febbraio è stato un mese difficile per i diritti umani, ma marzo sembra iniziare sotto auspici forse anche peggiori”. Inizia con questa premessa l’intervista che Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha rilasciato ai microfoni di LaPresse su quanto accaduto nell’ultimo mese, in Italia e nel mondo. Al centro della lente di Noury ci sono, tra gli altri accadimenti, le cariche intercorse tra le forze dell’ordine e gli studenti a Pisa, quelle ai cortei contro la censura in RAI, ma anche la morte del dissidente politico russo Alexei Navalny, il processo per l’estradizione del whistleblower americano Julian Assange e, soprattutto, le ultime vittime civili tra i palestinesi.

Partendo da qui, abbiamo quindi chiesto a Noury quale fosse lo stato di salute dei diritti umani nel nostro paese: “È uno stato di salute in declino. Soprattutto per quanto riguarda la libertà di manifestazione pacifica, gli spazi di espressione delle proprie opinioni. Non è un problema che nasce oggi, c’è una questione di gestione dell’ordine pubblico che va avanti da tempo, che si aggrava in alcune circostanze e questa e una di quelle. Le vicende di Pisa, Firenze, Napoli ci dicono che occorre un’assunzione di responsabilità delle forze di polizia”. L’accento viene quindi posto immediatamente su uno degli obiettivi principali perseguiti della sua associazione: “Sono tredici anni che Amnesy International porta avanti la campagna per i codici identificativi per le forze dell’ordine. Non c’è stato verso, con più governi e più parlamenti, di farla diventare una priorità”.

In questo senso, la questione assume inevitabilmente anche una propria dimensione politica. Di conseguenza, a Noury viene chiesto se Amnesty percepisca l’attuale governo Meloni come un rischio per la tutela dei diritti umani nel nostro paese: “Mi sento di dire – e lo abbiamo documentato con un’analisi sul primo anno di governo – che sono stati fatti dei passi indietro sui diritti umani. Non c’è una delle 10 richieste che abbiamo fatto che abbia visto qualche passo avanti. Quindi, la tenuta dei diritti in questo paese è in declino. E dunque certamente avvertiamo una situazione di pericolo”. Ma per il portavoce di Amnesty International è importante sottolineare come la questione non sia esclusivamente legata al centrodestra: “Sarebbe però un errore politicizzare. Il governo Meloni ha preso dei provvedimenti contrari ai diritti umani, ma non è che veniamo da un periodo in cui c’era una garanzia o un progresso. C’è un’erosione che va avanti da tempo e chiama in causa più governi. Certo, ci sono degli sviluppi preoccupanti”. Il problema, per Noury, è infatti più generale: “Io lamento il fatto che manchi una cultura dei diritti in questo paese che fa sì che ci si scontri su cose che dovrebbero essere condivisibili da ogni parte politica”.

 

La dimensione politica, però, sembra rimanere una costante anche negli avvenimenti di cronaca più recenti, come sottolinea l’attivista per i diritti umani in merito alla questione del rientro in Italia di Chico Forti: “Amnesty International non ha seguito la storia di Chico Forti. Dopodiché, se ci sono degli accordi tra stati che consentono di scontare la pena o di attendere il processo agli arresti domiciliari nel paese di origine, ben vengano. Però vanno applicate a tutte e a tutti, quindi anche a Ilaria Salis”, è quanto afferma Noury, rimarcando così l’importanza di applicare un metodo di giudizio e di azione uniforme per tutti i casi simili.

 

Non più felice il quadro che viene delineato sul piano internazionale: “A guardare ai fatti del mondo, negli ultimi anni, c’è da mettersi le mani nei capelli”. Secondo Noury, in questo senso il problema è sistemico: “È come se il mondo avesse perso credibilità nell’affrontare i conflitti. Il consiglio di sicurezza è bloccato attraverso un sistema antiquato che è quello del potere di veto. E quindi avanzano leadership belliciste, che non vengono contrastate”. Ma non solo, denuncia: “Emergono anche altre leadership che si propongono come mediatori: penso alla Turchia, al Qatar, all’Egitto. Sono stati in cui i diritti umani non sono rispettati”.

È in questa prospettiva che il portavoce di Amnesty dichiara che: “Complessivamente c’è questo peggioramento della situazione a livello globale”. E soprattutto: “Ci stiamo abituando a vedere delle cose che accadono senza reagire”, citando così il caso di Putin non solo in Ucraina, ma già anni fa in Siria, così come quello degli attacchi dell’esercito israeliano sulla popolazione civile nella Striscia di Gaza.

Infine, non poteva mancare un passaggio su due storie individuali che hanno particolarmente colpito l’opinione pubblica: quella di Alexei Navalny e quella di Julian Assange: “Navalny è morto in custodia dello stato e quindi è lo stato russo, Putin, che deve rispondere della sua morte”, afferma con fermezza Noury, che invece sul caso Assange si lascia andare a una riflessione più generale: “Rischia di segnare uno spartiacque pericoloso tra un periodo in cui il giornalismo investigativo era protetto e uno in cui il giornalismo investigativo sarà un reato”, per poi concludere con un ultimo riferimento al nostro paese: “Del resto, anche in Italia ci stiamo avviando su questa china”.

Questa, dunque, la ricostruzione fatta per LaPresse da Riccardo Noury sullo stato di salute dei diritti umani in Italia e nel mondo. Un quadro non entusiasmante, quello dipinto dal portavoce di Amnesty International, che non a caso conclude la sua intervista con un monito: “C’è grande preoccupazione per quello che potrà venire”.

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