Dal 18 gennaio del 1992, giorno dell'incidente della figlia, fino alla morte sopraggiunta il 9 febbraio del 2009, in una clinica di Udine

La mia battaglia è durata diciassette anni e 22 giorni, dal 18 gennaio del 1992, quando mia figlia ebbe l’incidente, al 9 febbraio del 2009, il giorno della sua morte, in una clinica di Udine”. A 15 anni dalla morte di sua Eluana, Beppino Englaro, in una intervista a QN, chiede una legge nazionale sul fine vita. La mia battaglia durata 15 anni, ora serve una legge nazionale. Oggi rifarebbe tutto? “Assolutamente – risponde – mai nessun ripensamento. Perché avrei dovuto averne? Non potevo non fare altro che quello che ho fatto. Non avevo scelta, starei quasi per dire che non avevo scampo. Non potevo tradire la volontà di mia figlia. È stato immediato. Se Eluana fosse stata libera e cosciente avrebbe detto: ‘No, grazie, non accetto l’offerta terapeutica. Non voglio vivere in queste condizioni’. Quando, un anno esatto prima dell’incidente, aveva visto il suo amico Alessandro in rianimazione, era andata ad accendere un cero in chiesa, non perché vivesse, ma perché morisse. E l’aveva detto: ‘Io mai e poi mai così'”.

Ora qualocosa è cambiato, “con la legge 219 del 2017 il medico non può più dire: ‘Non posso non curare’. È stato affermato il principio dell’autodeterminazione attraverso le disposizioni anticipate di trattamento (Dat) date dalla persona nel caso che un giorno si venisse a trovare nelle condizioni di non poter esprimere la sua volontà. Mia moglie e io siamo stati i pionieri di questo in una società che non era ancora preparata ad accettare la scelta di Eluana“. Ma, aggiunge, “è necessario che venga data la maggiore informazione possibile”. E che le Regioni si muovano in ordine sparso “è un dato di fatto. Si dovrà arrivare a un legge nazionale che parta dal ministero della Salute”. 

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