Il processo a Brescia per rivelazione di segreto sui verbali della Loggia Ungheria. Slitta al 20 giugno la sentenza sull'ex pm di Mani Pulite

Condannare Piercamillo Davigo a 1 anno e 4 mesi con pena sospesa. È la richiesta della procura di Brescia nel processo all’ex membro del pool di Mani Pulite per rivelazione di segreto sui verbali della Loggia Ungheria e le dichiarazioni dell’avvocato Piero Amara, e per aver indotto il pm di Milano Paolo Storari a dargliene una copia sostenendo che a lui “non fosse opponibile il segreto investigativo” in quanto membro del Csm. Slitta al 20 giugno la sentenza che era prevista per la giornata di martedì, Davigo non sarà nell’aula della Corte di Assise presieduta dal giudice Roberto Spanò alla lettura del dispositivo dopo aver partecipato in prima persona a oltre un anno di udienze.

“Concezione privata del Csm”

Durante la requisitoria i pm Francesco Milanesi e Donato Greco hanno chiesto di ritenere il magistrato in pensione colpevole per tutti gli episodi di rivelazione di segreto. Davigo risponde di aver parlato dei verbali o consegnato una copia degli stessi all’ex vice presidente del Csm, David Ermini, l’ex primo presidente di Cassazione, Pietro Curzio, i consiglieri del Csm Giuseppe Marra, Ilaria Pepe, Alessandro Pepe, Giuseppe Cascini, Fulvio Gigliotti, Stefano Cavanna, all’ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, e alle assistenti amministrative al Consiglio superiore della magistratura Giulia Befera e Marcella Contraffatto. Parere favorevole dalla Procura guidata da Francesco Prete – presente in aula – alla concessione delle attenuanti generiche “per aver spiegato con grande chiarezza le ragioni del proprio operato contribuendo alla ricostruzione dei fatti”. Secondo i pm, Davigo si sarebbe elevato a “paladino della giustizia per violare la legalità” ma “l’unica legalità violata è quella nel salotto di casa sua dove atti coperti da segreto sono usciti dal perimetro investigativo e dopo un po’ di tempo finiti sui giornali”. L’ex capo dell’Anm avrebbe una “concezione privata” del Csm per la quale “siccome ne sono membro, posso sempre e comunque esercitarne le prerogative”.

Difesa Ardita: “Dietro calunnie battaglia per Procuratore Roma”

Dura l’arringa della parte civile, il suo ex amico e collega al Csm, Sebastiano Ardita, calunniato da Amara accusandolo di essere massone in ‘Ungheria’ e che Davigo metterà in guardia i colleghi a Palazzo dei Marescialli dal frequentare mostrando le copie dei verbali. L’avvocato di Ardita, Fabio Repici, ha depositato conclusioni scritte e chiesto un risarcimento per il magistrato siciliano. Per lui Storari e Davigo hanno raccontato “bugie” su tempi, moventi e circostanze del loro incontro collocato nella prima decade dell’aprile 2020 quando nemmeno ci si sarebbe potuti incontrare per il lockdown. In particolare ci sarebbe stata la nomina del Procuratore di Roma nel post Giuseppe Pignatone dietro la rottura fra Davigo e Ardita e le conseguenti calunnie a quest’ultimo nell’ambiente del Csm. Repici ha suggerito al collegio come Amara sia stato in grado di pilotare mezza Procura di Milano facendo trovare sul suo computer due file chiamati ‘Note Difensive’ e ‘Keep Wild’ con all’interno nomi di alti esponenti della magistratura e delle forze armate che lui stesso – confermato solo dal suo ex socio di studio – indicherà appartenere all’associazione segreta “continuazione della P2”. A cominciare dal nome del Procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo, che l’ex legale di Eni presenta come massone a Storari “sapendo benissimo”, ha sottolineato l’avvocato, come fra i due non corresse buon sangue da oltre 20 anni per la vicenda delle inchieste a Torino Telekom Serbia e lo scandalo ‘Appaltopoli’, quando da colleghi in Procura Storari fu accusato in una sorta di déjà vù di essere la talpa – processato anche in quel caso e poi prosciolto – di due giornalisti di Repubblica che fecero uscire le notizie che portarono Saluzzo a finire indagato. Il legale ha infine ricordato come Amara inizierà a parlare di ‘Ungheria’ nell’interrogatorio del 14 dicembre 2019, “lo stesso giorno in cui in quinta commissione del Csm partirà la pratica per la nomina del Procuratore di Roma” su cui si consuma la ‘frattura’ fra Davigo e Ardita e dentro la loro corrente di ‘Autonomia e Indipendenza’. Rottura che il 3 marzo 2020 diventa definitiva al plenum del Csm per il voto sul Procuratore di Roma. Davigo vota per Michele Prestipino, Ardita e Nino Di Matteo convergono su Giuseppe Creazzo. L’ex Mani Pulite lo scopre poche ore prima e urla in pubblico ad Ardita “Tu mi nascondi qualcosa”. Nel corso del suo interrogatorio alla scorsa udienza ha detto di riferirsi al fatto che Ardita volesse cambiare corrente per tornare in ‘Magistratura e Indipendenza’ abbandonando il gruppo. La difesa di Ardita non ci crede e ha riportato in aula messaggi che la segretaria di Davigo, Marcella Contraffatto, manda il 4 marzo 2020 a un altro magistrato del Csm che stava rientrando da una missione all’estero (Giuseppe Marra): “Ardita si sta portando via il gemello diverso (Di Matteo, NdR) e pure Cavanna. Davigo è nero, non lo ho mai visto così, c’è completa rottura. Lui dice che ha qualche scheletro nell’armadio e forse ha ragione”.

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