Manifestazioni a Palermo per ricordare il magistrato ucciso dalla mafia insieme a cinque agenti di scorta. Il sindaco Lagalla: "Resta l'amarezza per una verità che ancora stenta a emergere"

In tantissimi si sono dati appuntamento in via D’Amelio a Palermo per ricordare il giudice Paolo Borsellino, morto nell’attentato mafioso del 19 luglio del 1992, insieme agli agenti della sua scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Nel giorno del trentennale della strage, nel luogo in cui al civico 21 della via, la mafia fece esplodere la Fiat 126 imbottita di esplosivo, non sono mancati i momenti di commozione, tra le testimonianze anche dei residenti.

“Io non mi trovavo qui nel momento esatto della strage, ero a casa di mia madre, che abita a pochi metri. In casa però, proprio al civico 21 della via, c’erano mio marito e mio figlio. Da casa di mia madre abbiamo sentito dapprima un rumore terribile e poi un fumo nero – ha raccontato Lia Costa, che qui risiede – all’inizio pensavamo che fosse caduto un aereo, mai avrei potuto pensare a tanta cattiveria. Per fortuna ebbi la prontezza di chiamare subito casa, mio marito rispose, lui e mio figlio erano vivi. Ebbi la mia rassicurazione, poi però giunse la brutta notizia dei morti”. Tra i presenti alla commemorazione, nel luogo dell’attentato, anche la nipote di Borsellino, Roberta Catania che, in seguito alla sentenza del processo sul depistaggio delle indagini relative alla strage di via D’Amelio, dove è venuta meno l’aggravante mafiosa per due dei tre poliziotti imputati nel processo, ha ammesso: “Speravamo davvero che questo trentennale si potesse celebrare in maniera diversa, con una parte di verità che tanto attendevamo. Noi familiari siamo avviliti, ma questo alimenterà la nostra rabbia e la nostra richiesta di verità”.

C’è stato chi, in occasione di un anniversario così particolare, ha espresso il suo no verso la presenza delle istituzioni. “Noi ci siamo sempre mossi in modo diverso, le istituzioni per noi qui, il pomeriggio del 19 luglio, non ci devono essere – ha detto Rosanna Melilli, del direttivo del movimento delle Agende Rosse – noi del movimento delle Agende Rosse non vogliamo corone di fiori. Qui deve venire il semplice cittadino. Noi ci muoviamo affinché la famiglia Borsellino approdi alla verità”. Intanto, in via D’Amelio, ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ha preso parte alle celebrazioni in occasione del trentennale della strage, incontrando tanti i ragazzi delle scuole che hanno partecipato all’iniziativa “Coloriamo via d’Amelio”, organizzata dal Centro Studi Paolo e Rita Borsellino. “Loro domandano giustizia e hanno bisogno di quel senso di legalità, che è il fondamento stesso della Repubblica e anche delle azioni e di tutti noi”, ha tenuto a sottolineare Bianchi.

“Ancora devono essere ricostruiti e, soprattutto, riscattati da insabbiamenti, depistamenti, indolenze e connivenze. Altrimenti sarebbe una reiterata condanna di morte di questi meravigliosi amanti della nostra vita e della vita delle generazioni future che abiteranno le case, le piazze e le strade della nostra città e della nostra terra”, ha detto l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, nella sua omelia in Cattedrale in memoria delle vittime dell’attentato. Anche per il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci “a trent’anni dalla scomparsa di Paolo Borsellino resta forte l’amarezza di fronte all’impotenza dello Stato di scrivere una pagina di verità sulla sua morte”. In merito a queste verità che stentano ad emergere si è espresso anche il sindaco del capoluogo siciliano, Roberto Lagalla, che ha detto: “Resta l’amarezza per una verità che ancora stenta a emergere su uno dei fatti più inquietanti della storia della Repubblica”.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata