Il ricordo di Antonio Belardo, ex consigliere comunale del Giglio, che ha soccorso e ospitato i naufraghi
“Quello che ricordo bene di quella notte fu la scarsa professionalità di alcuni membri dell’equipaggio della Costa Concordia. E non parlo certo di chi lavorava in cucina e che aveva una scarsa, se non nulla, conoscenza del mare. Ma di gente graduata. Arrivavano con le scialuppe sul molo e poi, abbandonando l’imbarcazione, pensavano solo a mettersi in salvo. Fu disarmante”. A parlare è Antonio Belardo, ex consigliere comunale dell’Isola del Giglio (Grosseto), e uno dei primi soccorritori della Costa Concordia, naufragata davanti le coste dell’isola, il 13 gennaio 2012.
“Scendevano e si dilungavano. Trovavamo scialuppe – racconta Belardo a LaPresse – lasciate lì abbandonate. Molti gigliesi salirono a bordo e cominciarono a fare la spola tra il molo e la nave. Per i membri dell’equipaggio forse bastava un viaggio, ma molti di noi hanno fatto anche 4-5 volte avanti e indietro, portando ogni volta carichi di persone da mettere in salvo. Io stesso – ricorda Belardi – ad un certo punto individuai uno di questi marinai, con tanto di gradi. Gli chiesi: ‘ma non la sai guidare una pilotina?’ Alla sua risposta positiva, gli dissi: ‘allora che aspetti, portami sotto la nave che andiamo a prendere altre persone. Ma lo hai capito che la gente rischia di morire?'”, ricorda ancora Belardo.
Da casa mia vidi quel gigante adagiato sugli scogli
“Ricordo perfettamente quando mi telefonò un collega per avvisarmi di quello che era successo. Mi parlò di una nave da crociera finita sugli scogli. Pensai ad uno scherzo. Poi mi affacciai dal balcone e vidi quel gigante del mare fermo davanti al porto. Non potevo crederci”, spiega Belardo la cui abitazione si trova a circa 700 metri dal porto, in una casa in collina. “Il collega al telefono mi disse che il sindaco chiedeva a tutti di andare al porto. Mi precipitai, come tanti altri. E cominciammo ad aiutare i naufraghi che sbarcavano sul molo di levante e sul molo centrale”, aggiunge.
Smistavamo persone bagnate da quelle asciutte
“Arrivato in porto trovai il caos. Un vigile del fuoco, sapendo della mia conoscenza dell’inglese, mi chiese di smistare le persone in arrivo, sul molo. Da una parte facevamo passare quelli bagnati, per portarli in hotel. Dall’altra quelli asciutti, per dirigerli verso la chiesa e verso la scuola”. “Cercavamo di dar defluire le persone che continuavano a sbarcare e che furono oltre 4200 quella notte – aggiunge Belardo – per lasciare spazio a chi ancora arrivata in porto sulle scialuppe. Dando indicazioni in inglese le operazioni furono più agevoli, ma avevano problemi con chi parlava solo russo o francese”.
Molti non avevano idea di dove fossero
Nonostante siano passati dieci anni da quando quel gigante dei mari urtò uno scoglio delle Scole, dando vita al naufragio che costò la vita a 32 persone, i ricordi di Belardo sono ancora nitidi. “Pochi avevano capito di essere sbarcati su un’isola. Molti ci chiedevano dove fosse la stazione più vicina, per prendere il treno per Genova o Savona. Non avevano idea di dove fossero”, spiega Belardo che come molti altri gigliesi diede aiuto alle 4.200 le persone portate in salvo e accolte sull’isola. “Dovemmo spiegare loro che per tornare a casa propria dovevano prendere un traghetto. E che, vista la situazione, se ne sarebbe parlato quanto meno l’indomani”.
I gigliesi scaldavano i naufraghi con il proprio corpo
Attimi drammatici in cui nessuno si tirò indietro. “Tutti i gigliesi che hanno saputo quello che era successo sono arrivati in porto a dare una mano. Gli unici che non c’erano erano le persone che non erano state avvisate, e di questo si sono rammaricate per anni. Sul molo arrivava gente impaurita, infreddolita. Ricordo concittadini che si sono letteralmente sdraiati sui naufraghi, per scaldarli con il loro corpo. C’erano 8 gradi e non c’erano coperte. La gente si copriva con una tovaglia o poco più”.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata