I carabinieri con un'unità cinofila scandagliano i campi vicini all'azienda agricola dove la famiglia Abbas viveva

Sarà ascoltato oggi, nel carcere di Reggio Emilia in cui è rinchiuso da un paio di  giorni, nell’ interrogatorio di garanzia: il cugino di Saman Abbas, la ragazza di 18 anni di origini pakistane e residente a Novellara, nel reggiano, di cui non si ha più notizia dalla fine di aprile, era stato fermato, nei giorni scorsi, a Nimes, in Francia, ed è stato consegnato alle autorità italiane. Nel corso del colloquio di oggi, il familiare potrebbe rivelare il luogo dell’eventuale occultamento della ragazza, per cui la procura ipotizza l’omicidio. Oltre a lui, sono indagati i genitori, uno zio e un altro cugino.

Ieri, dopo le segnalazioni dell’elettromagnetometro di alcune anomalie e alterazioni del terreno, è stata estesa l’area di ricerca per ritrovare la ragazza. Attorno al civico 103 di via Cristoforo Colombo, nella zona più rurale del paese emiliano, i carabinieri, insieme all’unità cinofila arrivata da Bologna, da giorni, scandagliano i campi vicini all’azienda agricola Le Valli, dove la famiglia Abbas viveva e dove il padre, Shabbar Abbas, lavorava. Secondo quanto confermato dalle fonti investigative, sarebbero state controllate quelle porzioni di terreno in cui il macchinario aveva individuato delle difformità nella terra.

“Quando abbiamo appreso l’evoluzione di questa vicenda, la reazione è stata molto scioccante, perché immaginare i propri familiari che uccidono una figlia è una situazione veramente drammatica – ha dichiarato a LaPresse Waseem Sarwar, 28enne pakistano, in Italia da 14 anni e residente a Campagnola, un comune non lontano da Novellara -. Nessuno di noi sapeva del suo problema in precedenza: il primo allarme ci era arrivato l’anno scorso, quando Saman si era rivolta alle forze dell’ordine per denunciare i genitori”. Che la giovane non andasse più a scuola dopo la licenza media, presa qualche mese dopo il suo arrivo in Italia nel 2016, lo sapevano in tanti, compreso Sarwar, il quale spiega che la parte della comunità pakistana più interessata a questo caso è rappresentata dai coetanei della 18enne: “Si domandano come sia possibile che un padre o un familiare, che ti ha cresciuto, possa fare una cosa del genere”. In base a quanto riportato da Sarwar, la 18enne era “una figlia che amava i suoi genitori e che parlava bene di suo padre”. “Alla fiaccolata era nostro dovere partecipare come comunità pakistana e come suoi rappresentanti, perché, prima di tutto, c’è la condanna di questo tipo di atti di violenza – ha aggiunto il 28enne, ricordando che al sit-in erano presenti diverse e intere famiglie -. Era anche nostro dovere spiegare, in un certo senso: la gente, guardando noi, pensa che la realtà sia questa, ma non è così. La nostra realtà non corrisponde a quanto accaduto nel suo caso”.

La 18enne si era scontrata con i familiari dopo aver rifiutato un matrimonio prestabilito. “Di solito, i genitori propongono ai figli di sposare una persona e si accetta, oppure si fa viceversa e sono i figli a proporre la cosa ai familiari. A quel punto, i genitori vanno dalle famiglie per il consenso: questo è un matrimonio combinato classico. Poi, se il padre propone al figlio o alla figlia una persona che ha scelto e questi si oppongono, se lui insiste, quello è un matrimonio forzato, perché non ci si può ostinare, sia da un punto di vista religioso, sia da un punto di vista delle leggi pakistane e non solo – conclude -. Con Saman potrebbe essere andata così. Il matrimonio combinato non è un matrimonio forzato, che è illegale in tutti i Paesi. Sono due cose diverse: non si può imporre la propria decisione sui figli per obbligarli a sposare a qualcuno”.

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