Il giovane era stato fermato a Nimes: ora è in carcere a Reggio Emilia

È stato portato in carcere a Reggio Emilia in serata, dopo che la mattina era stato consegnato alle autorità italiane a Ventimiglia, al confine con la Francia. È arrivato in Italia il cugino di Saman Abbas, la 18enne di origini pakistane residente a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, di cui non si hanno più notizie dal 30 aprile. Il giovane era stato fermato a Nimes mentre si trovava a bordo di un Flixbus che lo avrebbe portato a Barcellona. È tra i cinque iscritti nel registro degli indagati – insieme ai genitori, uno zio e un altro cugino – per la sparizione della giovane, che negli ultimi mesi aveva chiesto aiuto agli assistenti sociali dopo essersi opposta a un matrimonio combinato.

Da giorni, i carabinieri stanno cercando i suoi resti nei campi vicini all’azienda agricola Le Valli, dove viveva con la famiglia. In mattinata le attività si sono intensificate con l’aiuto dell’unità cinofila e con l’utilizzo di un elettromagnetometro, in grado di rilevare anomalie e alterazioni del terreno. Nel corso della giornata, come confermato dai militari, è stata isolata una porzione dell’area, che secondo le fonti investigative potrebbe portare all’individuazione del corpo. “L’area su cui si sono concentrate le ricerche è stata scelta secondo i calcoli fatti sulla base delle immagini e del comportamento degli indagati – ha chiarito il comandante provinciale dei carabinieri di Reggio Emilia, Cristiano Desideri -. Se i familiari possano aver pensato a un depistaggio, sapendo della presenza delle telecamere? Stiamo calcolando tutto, ma è un lavoro che viene fatto procedendo per gradi, il che non significa che sia ultimato o che sia imbrigliato in logiche metriche”.

Intanto, la comunità di Novellara assiste letteralmente attonita all’evolversi della situazione. “Ho conosciuto Shabbar Abbas alla festa dell’anguria”, ha dichiarato un conoscente del padre di Saman, da 22 anni in Italia, confermando di non aver mai visto di persona né la madre, né lo zio della giovane, “e non pensavo potesse fare una cosa del genere. Non si può ammazzare una ragazza o un ragazzo perché ha detto che non si voleva sposare. A Novellara ci sono tante famiglie pakistane particolarmente chiuse, non ci sono solo loro”. Al momento, i familiari di Saman continuano a essere ricercati. E come confermato dal comandante provinciale Desideri, sul luogo delle ricerche insieme al sostituto procuratore Laura Galli, “per i suoi genitori è stata prevista una procedura di richiesta dell’autorità giudiziaria per un mandato d’arresto internazionale”, che però ha processi organizzativi piuttosto lunghi, perché necessita di un percorso di validazione nazionale.

Se al civico 103 di via Cristoforo Colombo, luogo di residenza degli Abbas, non c’è ancora traccia di Saman, a Novellara la sua presenza si avverte ovunque. Sui volti preoccupati dei passanti, nelle preghiere dei religiosi e nei pensieri delle istituzioni. “Dietro a questo caso non c’è l’islam dell’Isis, di al Nusra o degli esaltati che vogliono fare uno Stato islamico: qui abbiamo a che fare con una cultura estremamente tradizionale, che sente ostile tutti i tipi di istituzione, tranne la famiglia – racconta don Giordano Boccini, sacerdote del paese emiliano -. La loro rete di relazioni non è legata alla comunità pakistana ma alla famiglia ed è su questo tipo di mentalità che facciamo fatica a trovare dei varchi”. Per il parroco, a Novellara dal 2017, in questa storia si è creato “un humus ideale per uno scontro generazionale violento. Nessun humus, però, giustifica la nascita di questa pianta, con un frutto così velenoso. Se avessimo avuto coscienza di un problema così grave, come comunità civile saremmo intervenuti in qualche modo. Nessuna religione o cultura può giustificare una famiglia che pensa di fare fuori la figlia”. Per don Boccini, la comunità è rimasta profondamente scossa da questa vicenda: “Un conflitto familiare non può evolvere così. I fedeli, in particolare le donne di una certa età, sono tutti angosciati per quanto accaduto, perché è come se fosse morta una loro figlia o una nipote. Si sente ferita la parte più sensibile della comunità. A ogni celebrazione prego per Saman, ma dobbiamo aiutare anche suo fratello a ricostruirsi. Perché un’esperienza di violenza di questo tipo non si improvvisa”.

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