Una donna uccisa ogni tre giorni, due alla settimana

Una donna uccisa ogni tre giorni, due alla settimana. A colpi di pistola, coltellate, le mani strette attorno al collo: cambia la modalità ma ad ammazzare è sempre un uomo. Dati allarmanti, che rischiano di restare confinati nel racconto delle ‘brutte notizie’ quotidiane senza trasformarsi in riflessione e, di conseguenza, diventare azione. “A differenza di altri allarmi contemporanei, come gli attentati terroristici e le morti di migranti nel Mediterraneo, i femminicidi non occupano le pagine dei quotidiani dedicate al dibattito politico ma vengono relegate ai trafiletti della cronaca nera“, osserva Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, e impegnata nella gestione di oltre cento centri antiviolenza in tutta Italia. “O si cambia approccio, o i femminicidi aumenteranno”, avverte.

L’80% delle violenze, secondo le stime dell’associazione, avviene tra le mura domestiche. Una situazione aggravata dalla pandemia, con il coronavirus che ha rinchiuso vittime e aguzzini sotto lo stesso tetto. In tempi di Covid il fenomeno “va letto nella sua complessità”, spiega Veltri, “non va scisso dal percorso di affermazione della donna nella ‘cosa pubblica’: se non vinciamo lo stereotipo dell’angelo del focolare non riusciremo ad azzerare quella che è una vera e propria strage”. Una mattanza con nomi e cognomi: Rossella Placati, 50 anni di Ferrara, e Deborah Saltori, 42enne di Trento, solo nelle ultime 24 ore.

Il rischio di emulazione è alto. E la situazione, complice la crisi economica, potrebbe peggiorare. Per la presidente di D.i.Re è fondamentale che “i media siano alleati” di associazioni e attiviste in quella che è una “battaglia strutturale e culturale prima ancora che emergenziale. Il femminicidio prende radici da una cultura patriarcale che continua a vivere a vari livelli della nostra società: un fenomeno trasversale che abbraccia tutte professioni e nazionalità”.

Tra le persone in prima linea al fianco di chi grida aiuto ci sono anche esperte ed esperti di legge. L’avvocata Libera Cesino ne è un esempio. “Siamo di fronte a una escalation mai vista prima“, ammette la legale, presidente dell’associazione Libera dalla violenza. “Quando l’uomo arriva ad uccidere non è mai il primo episodio violento. Dobbiamo essere in grado di captare le prime forme di aggressività e agire. La rete antiviolenza specializzata, fatta da magistratura e forze dell’ordine, deve anticipare e prevenire la tragedia”. Fidanzate, single, mogli, madri, “dobbiamo essere le prime ad aiutare noi stesse smettendo di avere atteggiamenti di comprensione: la violenza non va mai compresa, in nessuna delle sue forme. C’è da dire – sottolinea – che rispetto alle nostre nonne siamo più pronte a rompere le relazioni e ad andare via”. Non sempre, però, si fa in tempo.

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