Con lui se ne va un pezzo di storia calcistica che faceva della versatilità dei singoli l'elemento fondante che ha portato ad una rivoluzione tecnico-tattica

Si prese la Germania sulle spalle nella notte magica dell”Olimpico’ del 1990 e con un rigore chirurgico la portò al trionfo mondiale disinnescando l’estro di una stella accecante come Maradona. Ma in Italia si prese soprattutto il cuore, la stima e l’affetto più autentico dei tifosi interisti, formando con Lothar Matthaus e Jurgen Klinsmann la triade tedesca dell’era trapattoniana nerazzurra, quella dei record.

Andy Brehme, tradito da un arresto cardiaco all’età di 63 anni, non era solo un’icona del calcio a cavallo degli anni Ottanta e Novanta che stava iniziando a cambiare pelle. Con lui se ne va un pezzo di storia calcistica che faceva della versatilità dei singoli l’elemento fondante che ha portato ad una rivoluzione tecnico-tattica. Brehme fece parte della nazionale prima e dopo la riunificazione tedesca, totalizzando 86 presenze e 8 reti. Con la Mannschaft disputò tre campionati d’Europa (Francia 1984, Germania Ovest 1988 e Svezia 1992), venendo inserito nella formazione ideale delle edizioni 1984 e 1992 e altrettanti campionati del mondo (Messico 1986, Italia 1990 e Stati Uniti 1994), entrando nell’All-Star Team della vittoriosa edizione 1990 quella appunto del celebre calcio di rigore che decise la finale.

A poche settimane dalla morte di Franz Beckenbauer, che di quella Nazionale del 1990 era l’allenatore, il calcio internazionale piange la scomparsa di un terzino duttile (fu terzo classificato nella corsa al Pallone d’oro), ambidestro, abile nell’anticipo, ottimo esecutore di calci piazzati, che spiccava per carattere, agonismo e straordinaria freddezza. Per tutti era il ‘Kaiser della fascia’. Era propenso a realizzare gol decisivi, e in più di un’occasione si incaricò di calciare importanti rigori o punizioni nonostante la presenza di compagni di squadra più blasonati. Dopo aver vinto con il Bayern Monaco, un campionato tedesco una Supercoppa di Germania, e perso una finale di Coppa dei Campioni, persa contro il Porto nel 1987, l’anno successivo venne ceduto all’Inter di Trapattoni per poco meno di 2 miliardi di lire. Il tecnico credette subito in lui, per dinamismo e capacità di costruzione intuendo potesse offrire prestazioni convincenti se impiegato sulla fascia sinistra. La sua ipotesi si rivelò corretta e Brehme risultò determinante per la vittoria dello scudetto del 1989. anno in cui l’Inter ottiene il record di punti (58 su 68). La stagione seguente, mantenendo elevati standard di rendimento, conquista la Supercoppa italiana contro la Sampdoria, nel 1991 vince la Coppa Uefa battendo in finale la Roma.

Il sodalizio con l’Inter si intrerruppe l’anno successivo trasferendosi in Spagna, al Real Saragozza per poi tornare dopo un solo anno in Bundesliga, al Kaiserslautern, dove conquista la Coppa di Germania 1995-1996, retrocedendo contestualmente nella serie cadetta. L’anno dopo ritorna nella massima serie, e nell’annata 1997-1998 conquista la Bundesliga, risultando l’unico club nella storia del calcio tedesco a riuscire in tale impresa da neopromosso. Dopo il ritiro allenò proprio il Kaiserslautern e nel 2005 affiancò come vice il suo ex allenatore Trapattoni sulla panchina dello Stoccarda. Senza lasciare traccia. Quella la fece sul campo. Quando giocava era soprannominato ‘Eisenfuss’, ‘Piede di ferro’, termine coniato dal giorno in cui aveva tolto il gesso al piede sinistro fratturato. Lo sostituì con una fasciatura per poter giocare e beffare in quella gara, con un tiro da cinquanta metri, il portiere avversario. Si ingessò di nuovo ma da allora era nato quel calciatore che tutta la Germania il mondo nerazzurro rimpiange per forza tenacia e imprevedibilità 

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