Cerchiamo di capire cosa cambia oggi con la legge 122, sul 'Dopo di noi"

"Stefano ed Emilia vivono in casa famiglia e dopo alcuni anni, come succede a tutti, si innamorano. Si tradiscono, si cercano, piangono e ridono. Qualche mese fa Stefano porta fuori Emilia al ristorante. Il che significa due operatori che li accompagnano e preparano tutto, ma che al momento opportuno sanno lasciarli soli al tavolo, sedendosi in un altro tavolo della pizzeria. Stefano regala una rosa ed Emilia. Ma Emilia non vede: è cieca. E dice: 'A Ste' ma n'ce vedo… che è?'. Parlano un po' burino. E a quel punto Stefano descrive la rosa ad Emilia. Provate a descrivere una rosa alla donna che amate, e vedrete che meraviglia. Vedrete cose che non avete mai visto. Perché lo racconto? Perché tutto questo è possibile, ma ad alcune condizioni. Servono operatori in gamba e serve pagarli. Rompo la poesia, ma è necessario dirsele queste cose. E allora parliamo di numeri. Una casa famiglia costa. E anche parecchio. Abbiamo fatto uno studio contando tutto fino all'ultimo centesimo: per farla funzionare bene servono 248 euro al giorno a persona". A parlare è Luigi Vittorio Berliri, presidente di Spes contra spem (in latino "sperare contro ogni speranza"), associazione che a Roma gestiste due case famiglia, nonché presidente di Casa al Plurale, coordinamento laziale delle associazioni del settore. Lo abbiamo raggiunto per capire cosa cambia oggi con la legge 122, sul 'Dopo di noi'. Cosa possono fare le famiglie, cosa è ragionevole aspettarsi.

Il provvedimento ha l'obiettivo di consentire a chi ha un figlio disabile di garantire per lui o per lei un futuro anche dopo la propria morte. La norma mette sul piatto 90 milioni per quest'anno, 38,3 milioni per il 2017 e 56,1 milioni all'anno dal 2018 in poi. Soldi che dovranno servire a realizzare nuove case famiglia: luoghi dove gruppi di quattro, cinque, sei disabili, assistiti da operatori, possano vivere insieme in una dimensione familiare, realizzando il più possibile una vita autonoma e, per così dire, "normale".

A Roma attualmente sono circa 450 i disabili ospitati in 54 case famiglia convenzionate col Comune. Poi ci sono altre 1.500 persone circa ospitate in strutture che fanno capo alle Asl. I nuovi fondi aiuteranno: "Novanta milioni – sottolinea Berliri – non sono una cifra indifferente. Solo per il Lazio sono dieci milioni in più. Potrebbe raddoppiare la capacità di ospitare del Comune di Roma, non è poca cosa".

Il ministero del Lavoro sta lavorando, di concerto con le Regioni, al decreto che stabilirà i criteri per l'accesso ai fondi. L'obiettivo delle associazioni è semplice: "Se il regolamento attuativo – spiega Berliri – riuscirà a mettere nei Livelli essenziali di assistenza la residenzialità per la persona con disabilità abbiamo svoltato. Sa oggi che succede? Che i posti nelle strutture finiscono e chi resta fuori si attacca. Ma se c'è una legge che prevede il 'Dopo di noi' e si dice che quel tipo di servizio è essenziale e quindi obbligatorio, non è più possibile rispondere semplicemente che sono finiti i posti".

Ma intanto le famiglie cosa possono fare? Se una famiglia volesse mettere a disposizione un proprio immobile, coinvolgendo altre famiglie, per dare vita a una casa famiglia, lo potrebbe fare? "Non è così semplice – spiega -. Stiamo parlando di un servizio pubblico erogato dal pubblico che convenziona eventualmente i privati. Le persone che accedono al servizio devono passare attraverso le liste di attesa e le graduatorie, che tengono conto della anzianità della persona, della gravità e di altri parametri oggettivi decisi non dalla famiglia o dalla cooperativa ma dalla Asl e dal Comune. Altrimenti il rischio è che il disabile che ha una casa avrà un futuro e quello che è più povero no. L'altro giorno mi ha telefonato una persona. Era molto arrabbiata perché da quattordici anni è in lista di attesa per una casa famiglia per la sorella, pur avendo la madre morta di tumore, e la sorella stessa colpita da un linfoma. Lei non ce la fa più ad accompagnarla in ospedale tre volte alla settimana. Ma dall'Asl e dal Comune dicono che non c'è posto in casa famiglia. Lei mi dice 'ma se non abbiamo diritto noi, chi ha diritto?'. In condizioni di risorse carenti, bisogna essere molto attenti a garantire equità".

Ma questo costa una casa famiglia? "Abbiamo fatto – racconta Berliri – uno studio (disponibile su casaalplurale.org, ndr) e abbiamo stabilito che ogni casa famiglia costa circa 300-400mila euro all'anno. Attualmente il Comune spende 150 euro al giorno a persona, contro i 248 necessari. Se calcolassimo solo le rette del Comune, dovremmo pagare gli operatori meno di 3,40 euro l'ora". Ma lo fate? "Ovviamente no – spiega – abbiamo una potente attività di fund raising che ci consente di andare avanti".

Insomma i genitori che possono fare? "Quella – risponde – che io chiamo la bella politica. Mettersi insieme, fare una associazione, fare le giuste rimostranze nei confronti degli enti locali. Qualche anno fa il presidente di una associazione ha messo a disposizione una propria casa. Ha fatto un trust con altre cinque famiglie, ha intercettato un funzionario del Comune di Roma illuminato e intelligente e ha proposto una casa famiglia. Alla fine abbiamo fatto un progetto insieme con 'Spes contra spem'. Ai tempi la cosa era semplice perché c'era disponibilità ad aprire nuove case famiglia. Ora sono cinque o sei anni che non si apre più niente. L'Anffas ha una casa pronta a partire ma non riescono ad aprirla perché non c'è finanziamento".

Insomma, a parte tentare la carta dell'iniziativa individuale, le famiglie possono solo mettersi in lista e sperare. Quanto possono sperare? Qui casca l'asino. Perché i soldi ovviamente non bastano. Per la residenzialità nel 2015 sono stati spesi dai servizi sociali in Italia 282 milioni (con grandi differenze: a Torino sono stati 60, a Roma 15). A cui si aggiungono quest'anno i 90 previsti dalla nuova legge. Ma siamo ancora lontanissimi, servirebbero circa due miliardi di euro. "Abbiamo preso i dati dell'Istat – spiega Berliri – e abbiamo provato a fare un'analisi. Se moltiplichi la retta giornaliera necessaria per il numero di persone che secondo l'Istat è in quella fascia di età e di disabilità grave per 365 giorni, viene fuori una cifra nell'ordine dei due miliardi. E parliamo solo di disabili gravi, ma in realtà la necessità di una vita autonoma si pone anche per chi grave non è". Anche perché pesa il tema del disgregamento familiare che in questi ultimi anni si è andato verificando: "Se prima le famiglie allargate, tra fratelli e cugini, erano in grado di farsi carico del problema, oggi non è più così. Se succede qualcosa a un genitore, non tutti abbiamo qualche fratello pronto a intervenire, con una casa disponibile e con una moglie disponibile".

E la questione sarà sempre più pesante da maneggiare dal punto di vista economico. Secondo le proiezioni Istat, grazie all'allungamento delle aspettative di vita, aumenteranno i disabili in età adulta o anche più avanzata: di almeno il 65% nei prossimi vent'anni.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata