La corte d'Appello di Brescia, dopo 15 ore di camera di consiglio, ha ribadito il verdetto di primo grado. Lui impassibile, poi piange salutando la madre

Fine pena mai. È questo destino che i giudici della Corte d’Assise e d’Appello di Brescia hanno tracciato per Massimo Bossetti, confermando la condanna all’ergastolo emessa in primo grado per il muratore di Mapello per la morte di Yara Gambirasio. I giudici hanno dato ragione al Pg Mario Martani, che aveva chiesto la conferma della sentenza emessa un anno fa dal Tribunale di Bergamo. Bossetti, alla lettura del verdetto, è rimasto impassibile. Si è commosso solo abbracciando la mamma, Ester Arzufi, prima di lasciare il Tribunale scortato dalla polizia penitenziaria. 

La decisione è arrivata dopo oltre 15 ore di camera di consiglio. Ore di attesa, preoccupazione e nervosismo che la moglie, Marita Comi, la mamma Ester Arzuffi e la sorella Laura Letizia hanno passato in Tribunale, con i loro legali e i consulenti della difesa. Ad aspettare, insieme a loro, c’era anche una piccola folla di curiosi, quasi tutti innocentisti, che non si sono persi nemmeno un’udienza sia davanti al Tribunale di Bergamo che davanti ai giudici bresciani. E più la giornata andava avanti, più le speranze per Bossetti crescevano. 

I riflettori sulla storia di Yara, che ha commosso e straziato l’Italia, non si sono mai spenti. La 13enne è scomparsa il 26 novembre 2010 da Brembate di Sopra, nel Bergamasco, mentre tornava a casa dalla palestra. L’ultimo segnale del suo telefonino è delle 18.45, poi solo silenzio. Il suo corpo è stato trovato te mesi dopo in un campo di Chignolo d’Isola, a una decina di chilometri da casa, straziato da tagli e contusioni. Un corpo con cui l’assassino, sicuramente “sadico”, ha voluto giocare prima di abbandonarlo agonizzante nel freddo pungente di una notte d’inverno.

All’inizio dell’udienza Bossetti ha voluto rivolgere un “sincero pensiero” alla ragazzina e urlare ancora una volta la sua innocenza. Yara "poteva essere mia figlia, la figlia di tutti noi. Neppure un animale avrebbe usato così tanta crudeltà", ha detto con la voce rotta dall’emozione. Jeans scuri e camicia blu, Bossetti  si è accalorato e commosso. Ha letto gli appunti buttati giù nella solitudine del carcere. Ha spiegato, motivato, ribadito che lui “non è un mostro” e che con la morte di quella  “ragazzina che aveva il diritto di vivere” non c’entra nulla.

"Io non confesserò mai un delitto che non ho fatto", ha assicurato ancora una volta. Il Dna sul corpo di Yara “non è il mio –  ha aggiunto – non sono io l'assassino, sono vittima del più grande errore giudiziario del secolo".  È sempre stata questa la linea Maginot del carpentiere, dalla quale nemmeno oggi si è voluto distaccare . E proprio sul Dna lo scontro tra accusa e difesa è stato durissimo.  Il Pg Martani, invece, non ha mai creduto alle sue parole da “irriducibile innocente”. Per l’accusa l’ipotesi più probabile è che Yara, menre tornava  a casa dalla palestra, abbia accettato un passaggio da Bossetti, che conosceva di vista. Una volta salita sul furgone del muratore, per la 13enne è stata la fine. “Come sono andate le cose – ha detto Martani nella sua requisitoria – ce lo può dire solo Bossetti”. Ma il carpentiere resta in silenzio e si prepara a fare ricorso in Cassazione. 

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