Un tempo le famiglie di Gaza intingevano pezzi di pane nel ‘duqqah’, un condimento a base di grano macinato e spezie. Oggi, invece, la 78enne Alia Hanani raziona il pane a bocconi, servendolo una volta al giorno a mezzogiorno e permettendo a ciascuno di intingerlo in un ‘duqqah’ di guerra a base di farina, lenticchie e bulgur. “Non c’è né la cena né la colazione”, ha detto la donna, sfollata da Rafah, madre di otto figli.
Alcuni palestinesi dicono di sopravvivere con pita raffermo e friabile, lattine di fagioli mangiate fredde per mancanza di gas per cucinare, o qualsiasi cosa riescano a trovare nei giorni in cui arrivano abbastanza presto da trovare ancora qualcosa da mangiare nelle mense della carità. Il gas per cucinare è scarso, le verdure sono costose e la carne è quasi scomparsa dai mercati.
Una sola ciotola di melanzane stufate in succo di pomodoro annacquato deve sfamare la famiglia di sei persone di Sally Muzhed per tutta la giornata. Lei lo chiama musaka, ma è solo un pallido ricordo del profumato piatto a base di carne e verdure che un tempo riempiva le cucine di Gaza. “I bambini hanno ancora fame. Domani non avremo nulla da mangiare”, ha detto Muzhed dalla tenda dove la sua famiglia è stata sfollata a Deir al-Balah. Con il poco cibo che entra a Gaza spesso sottratto da palestinesi disperati o saccheggiato da bande e rivenduto a prezzi esorbitanti, madri come Muzhed sono costrette a improvvisare continuamente, reinventando i piatti tipici palestinesi con gli scarsi ingredienti che riescono a procurarsi dai camion, dai pacchi lanciati dall’alto o acquistati al mercato.