Storica voce di boxe e tennis, cambiò il linguaggio del giornalismo. Celebri i suoi duetti nelle telecronache con Clerici
Il giornalista Rino Tommasi è morto a 90 anni. Nessuno come lui e per tutti il migliore. Per come raccontava lo sport, per l’eleganza e quel velo autentico di ironia con cui sapeva prendere per mano il telespettatore e coinvolgerlo trasmettendogli passione, sana curiosità e cultura sportiva tra numeri mai ‘freddi’, aneddoti illuminanti e analisi tecniche da super esperto. Lo sport piange una figura leggendaria, perché la scomparsa di Tommasi è un pezzo di giornalismo sportivo che si chiude definitivamente, uno “stampo che non si può replicare” come ha detto con il cuore spezzato dall’emozione uno dei suoi tanti colleghi e ammiratori come Marino Bartoletti.
Chi era Rino Tommasi
Definirlo giornalista è quantomai riduttivo perché Tommasi, nato a Verona nel 1934, il 23 febbraio, è stato molto più di un cantore delle gesta sportive, un impareggiabile conduttore televisivo, un telecronista sui generis, un abile organizzatore di eventi pugilistici, ma soprattutto un ‘one man show’ e molto, molto altro. Inventò un linguaggio, un modo di raccontare autentico, uno stile. In coppia con Gianni Clerici, giornalista anch’egli scomparso, ha creato una delle coppie iconiche delle telecronache. Clerici per lui aveva coniato il soprannome di ‘ComputeRino’ per via della sua mania di registrare e divulgare statistiche e record su record. E di rimando Tommasi aveva inventato per l’altro celebre cantore di imprese tennistiche l’etichetta di “Dottor Divago” per le sue parentesi che spesso non venivano mai chiuse. Ma Tommasi è noto soprattutto per alcuni sue espressioni entrate nel linguaggio comune, da ‘circoletto rosso’ per indicare i punti importanti di un match, a ‘volèè agricola‘, passando per il ‘punteggio isoscele’, tra una ‘palla calante’ e una ‘volee perdente’. Per molti era l’essenziale dell’inessenziale, il marchio di fabbrica unico e inimitabile di un modo di divulgare sport attraverso una chiarezza espositiva suffragata da dati certi e neologismi universalmente riconosciuti. E’ un giornalismo che ancora oggi continua a vantare tentativi innumerevoli di imitazione. Mal riusciti.
Rino ha sempre respirato sport. Sia il padre Virgilio sia lo zio Angelo avevano preso parte a tre diverse edizioni dei Giochi Olimpici nel salto in lungo. Dal canto suo, Rino è stato un buon tennista di seconda categoria, ha vinto quattro titoli italiani universitari e due medaglie di bronzo ai Giochi Mondiali Studenteschi. A lasciare il segno fu la sua carriera fuori dal campo, a partire proprio dal tennis. Grande organizzatore, sin dai 25 anni ha allestito eventi di pugilato (l’altro sport del suo cuore) tra cui quello tra Nino Benvenuti e Luis Rodríguez, il match per il titolo mondiale dei pesi medi che venne trasmesso nel novembre del 1969 in diretta dalla Rai. L’incasso è di 94,682 milioni ma gli spettatori paganti furono “solo” 9.617. Lascia allora l’organizzazione di incontri di pugilato affermando che ormai “la boxe è finita”, non potendo resistere di fronte all’assalto delle televisioni. E con la tv si costruì una nuova ‘vita’.
Primo direttore dei servizi sportivi della rete televisiva Canale 5, negli anni ottanta fu ideatore e conduttore di ‘La grande boxe’, rotocalco televisivo a cadenza settimanale di pugilato, in onda sulle reti Fininvest. Spesso in coppia con Clerici ha commentato i principali avvenimenti tennistici per le reti per le quali i due hanno lavorato fino al 2010, a partire da TV Koper Capodistria, passando per Tele+ e Sky Sport che lo ricorda come un concentrato di competenza applicato alle dinamiche televisive. Tommasi ha aperto un’era nuova e lo ha fatto con quella leggerezza che colpisce al cuore. “Commentiamo le partite come due amici che si ritrovano davanti alla tv. Ci pagano per svolgere un lavoro per il quale pagheremmo noi”, diceva spesso ai telespettatori nei suoi duetti con Clerici. La sua ‘spalla’ con cui ora guarderà insieme il tennis da lassù.
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