L'oro olimpico di Seul 1988 a LaPresse: Davanti si arriva solo lavorando duro, a me piaceva la sfida uomo contro uomo

I risultati della maratona di Siviglia non lo stupiscono, “Crippa non è una sorpresa, abbiamo una buona base per tornare a correre davanti come ai miei tempi”. E a Parigi la nostra nazionale può far bene, “abbiamo 7-8 medaglie potenziali, forse anche di più, in diverse discipline e questo è molto bello”. Lo dice a LaPresse Gelindo Bordin, medaglia d’oro alla maratona di Seul nel 1988, unico italiano – nonché campione olimpico – a dominare i 42 km della maratona più antica al mondo, quella di Boston, nel 1990.

La maratona di Siviglia ha visto Yeman Crippa segnare il record italiano, un anno dopo quello di Aouani e Milano, con ottime performance anche degli altri nostri atleti.

Chiaramente il risultato di Crippa non è una sorpresa, è un ragazzo di grande valore che già aveva fatto bene alla prima maratona. Bene anche Faniel che ha fatto una bella gara. Quello che stupisce è che a Siviglia ci sono stati quasi una trentina di atleti sotto le 2 ore 8 minuti, è un dato che colpisce, io non l’ho corsa ma sinceramente è una gara molto particolare e veloce. Chiaramente abbiamo dei ragazzi in Italia che sono pronti a fare il salto di qualità per poi correre con gli altri. I tempi in maratona sono importanti, ma poi devi correre come gli altri per vincere le gare importanti. Crippa ha tutte le qualità per farlo, i ragazzi devono mettere l’asticella alta dove deve essere messa. Abbiamo una buona base per tornare a correre davanti come si faceva ai miei tempi, come a Boston e a Seul e fino alle Olimpiadi di Baldini.

Del resto lei è il primo e finora unico italiano ad aver vinto la Boston Marathon.

Un primato con ancora un tempo di eccellenza, nonostante i prodotti che usavamo all’epoca. A me piaceva la sfida uomo contro uomo, e alla Boston Marathon correre forte non è così facile. Devi conoscerla, capirla bene, assecondare le sue salite: è un’amante complicata.

Qual è il trucco per affrontarla?

Bisogna conoscerla bene ma soprattutto conoscersi bene. E’ un percorso che non ti permette di usare il cronometro, perché è troppo complesso. Bisogna arrivare con le energie giuste per gli ultimi 10 chilometri di gara che sono la parte più complicata della maratona, capire come dosare lo sforzo, c’è la discesa all’inizio, poi le salite, bisogna capire quando è il momento di spingere.

Qual è la sua gara del cuore tra quelle corse in carriera?

Sicuramente l’Olimpiade, è un momento magico, la medaglia è un’emozione incredibile. Poi certo Boston mi è rimasta nel cuore, perché abbiamo corso a un ritmo incredibile su quel percorso, lottavo contro gli amici-nemici del continente africano. E poi sono stato anche il primo olimpionico a vincerla, c’era quel traguardo, quello stimolo lì. Però la metto al secondo posto dopo la vittoria olimpica, dove avevo almeno 12 avversari di livello: a Boston erano 4, ho fatto sempre quel ragionamento lì, della sfida uomo contro uomo.

Oggi gli atleti fanno ritiri quasi ‘monastici’ in Kenia, lei ai suoi tempi diceva che il suo doping erano la birretta dopo l’allenamento e magari una sigaretta.

Arrivavo da un periodo in cui mi ero allontanato dalla corsa, facevo il geometra, avevo iniziato a fumare e poi quando a 21 anni ho ripreso a fare seriamente me lo son portato dietro ma era una sigaretta ogni tanto, eh! Però sì, seguivo una alimentazione molto tradizionale perché a me faceva bene così, magari da bravo veneto un goccetto che aiuta a digerire, ero abbastanza trasgressivo ma anche molto attento, dopo una serata mi autopunivo in allenamento. Però ecco, bisogna fare lo sport con gioia, aiuta tantissimo, anche a durare tanto.

Lei era noto anche per i suoi allenamenti piuttosto duri.

Per correre come gli altri dovevo allenarmi tanto o più degli altri. Ai miei tempi c’erano i giapponesi, quelli dell’Oceania, soprattutto l’Australia, la scelta che ho fatto è stata quella di lavorare più duro. Non è andata sempre bene, all’inizio il mio corpo non assimilava quei carichi, poi dal 1986 la macchina si è trasformata. Il lavoro paga tantissimo, non bisogna credere a chi dice il contrario: anche gli africani non è vero che corrono poco, si allenano tanto e forte e sono sempre in competizione tra di loro. Poi dipende dal fisico e dall’atleta, chi ha una corporatura più possente come la avevo io magari ha bisogno di correre di più, chi è più esile riesce con meno chilometri, ma davanti si arriva solo lavorando duro.

Che ne pensa delle superscarpe? C’è chi le ritiene una normale evoluzione dello strumento e chi arriva a parlare di ‘doping’.

Un vantaggio lo portano, altrimenti non ci sarebbero delle regole che invece la World Athletics ha inserito. In più proteggono, e se non ti fai male ti alleni di più. Faccio il romantico, è comunque una piccola modifica della prestazione dell’atleta ma lo sviluppo non si può fermare, non si torna indietro. E’ bene che invece oggi le abbiano tutti gli atleti, si è tornati alla pari. Lavorando in azienda poi (Bordin è in Diadora, ndr) vedo quanto sono seri quelli della World Athletics. Quello che non ritengo giusto invece è paragonare i tempi di trent’anni fa con quelli di oggi. Un record lo fai e poi non sai quanto dura, una medaglia d’oro è tua per sempre, lo dico spesso ai ragazzi. Sono periodi diversi, Abebe Bikila fece un tempo straordinario per i suoi tempi in 2 ore e 12 minuti, la mia generazione correva in due ore e 6, oggi è ritenuto ‘normale’ un tempo intorno alle due ore. La progressione umana c’è, poi certo le scarpe aiutano non sono i 5-6 minuti ma 1 o 2 sì, parliamo di professionisti, ovviamente, non di amatori. Non vanno da sole, bisogna sempre spingerle.

Sono utili anche per chi non corre così veloce?

E’ chiaro che va anche di moda ma quello che suggerisco da tecnico è che sono prodotti da usare con cautela, anche i grandi atleti le usano solo negli allenamenti specifici e in gara. Bisogna stare attenti e non abusarne, si tratta comunque di scarpe impegnative per i muscoli, soprattutto per i polpacci.

Guardando alle prossime Olimpiadi di Parigi quali sono le sue previsioni?

Abbiamo una squadra che può portare un bel numero potenziale di medaglie, dico 7-8 ma anche di più. A partire dalla marcia, quest’anno c’è anche la staffetta, e abbiamo i nostri campioni Antonella Palmisano e Massimo Stano. E poi la velocità, il lungo, il triplo, il salto in alto, il peso. Potrebbe essere anche questa una grande Olimpiade. Anche Crippa, se recupera bene, ha le qualità per fare un gran finale di gara.

Intanto, i successi della nostra atletica ha fatto crescere l’interesse nei ragazzi.

E’ sempre così, le medaglie portano interesse, abbiamo avuto una nazionale giovane che andava molto forte, oggi abbiamo una nazionale in salute in diverse specialità, e questo è molto bello, non come ai miei tempi solo col mezzofondo o con la velocità di Pietro Mennea. Dobbiamo fare attenzione a creare le basi pensando al 2028, investire sui ragazzi, serve una programmazione a lungo termine.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata