Matteo Terzi, giovane musicista milanese meglio conosciuto con il nome d'arte 'Soltanto' oggi ha pubblicato l'album 'Skye', frutto del suo ultimo road tour per l'Europa
La strada, come concetto di vita libera e senza regole, ha sempre affascinato poeti, cantanti, musicisti e scrittori. Ma c'è chi questa filosofia del vivere libero, itinerante e senza confini l'ha presa alla lettera. Si tratta di Matteo Terzi, giovane musicista milanese meglio conosciuto con il nome d'arte 'Soltanto', che proprio oggi ha pubblicato l'album 'Skye', frutto del suo ultimo road tour per l'Europa, che arriva dopo 'Le chiavi di casa mia', lavoro di quattro anni fa. L'album prende il nome da una piccola isola della Scozia, "con dei paesaggi da togliere il fiato – come ci spiega Soltanto – dove le canzoni del mio disco hanno definitivamente preso forma".
Soltanto, che cosa rappresenta per te 'Skye', come luogo fisico e come album?
"L'isola di Skye è stata una grandissima scoperta, è uno di quei luoghi dove mi sono sentito a casa da subito, cosa per me rarissima. A Skye ero in contatto con la mia parte più intima. Quando qualcuno mi chiede dove mi immagino tra dieci anni, rispondo sicuramente lì. Sogno, un domani, di aprire un bed & breakfast. C'è parecchia gente in estate, ma le strutture non sono abbastanza, ci sono solo 2 o 3 città in tutta l'isola. Ci sono settimane in cui le strutture sono in overbooking di turisti, che sono costretti a dormire in macchina.
Che cosa troviamo in questo album?
In questo album ci sono racchiusi dentro gli ultimi tre anni della mia vita. Sono felice di averlo realizzato con grandissima calma, volevo concluderlo solo con la certezza che rappresentasse a fondo il racconto di questi tre anni. Anche come ricerca del sound sono rimasto soddisfatto e la mia sensazione è che sia una cosa abbastanza rara nel mercato discografico di oggi, perché quello che ascoltiamo difficilmente ha un periodo di gestazione così lungo.
Da dove hai tratto ispirazione per le tue canzoni?
Tutto parte sempre da esperienze ed emozioni personali, a volte anche incontri. Per esempio, la canzone 'Se chiudi gli occhi si vola' è nata dopo l'incontro con un clochard a Bruxelles. Viaggiando tanto e suonando per le strade l'ispirazione avviene soprattutto da quello che succede lì, e dalle mie emozioni che scaturiscono da incontri, scontri e delusioni. 'Skye' mi rappresenta molto.
Non hai suonato solo per strada: perché a un certo punto della tua vita ti sei esibito anche in luoghi chiusi?
La mia dimensione vera è suonare per strada. A volte ho suonato in posti chiusi per presentare le mie canzoni, così come sono nate, con i colori e i vestiti che minuziosamente avevo cercato di cucire loro addosso. Volevo suonare con la band e per strada è complicato, quindi ho cercato l'atmosfera che solo il teatro sa regalare. Anche l'attenzione all'ascolto è diversa in un teatro. Però ammetto che, sul palco, mi sento completamente a disagio, la vivo come una cosa strana e imbarazzante.
Tu avevi un lavoro fisso. Sei anche laureato. Perché a un certo punto della tua vita hai mollato tutto e sei partito?
Lavoravo in una società di produzioni cinematografiche e teatrali e portavo avanti anche l'università, dove mi sono laureato in Scienze Politiche. In quel periodo, però, non mi sentivo sui miei 'binari'. Dopo aver terminato l'università, avevo deciso di fare un'esperienza on the road, ma non pensavo di fare subito il musicista. Ho girato in autostop per l'Europa sei mesi. Mi ero portato dietro la mia chitarra, perché suonare è la mia costante di felicità della vita, il mio rifugio che mi faceva sentire a posto. Era più una compagna di viaggio, non avevo certo idea che un giorno mi avrebbe dato da mangiare. Arrivato a Lione, andai a cercare lavoro nei cantieri, perché avevo già fatto il muratore da ragazzo. A un certo punto ho cominciato a suonare per strada, più per me stesso che per mero guadagno, ma ero sempre in imbarazzo: mi mettevo in periferia, in posti dove non passava nessuno. Piano piano, però, vedendo la risposta positiva della gente, ho guadagnato metri vero il centro (ride, ndr).
Cosa ha detto la tua famiglia sulla tua decisione di mollare tutto e partire?
Quando sono partito non sapevo ancora che sarebbe stato il mio lavoro e parte integrante della mia vita, ma quando nel 2010 diedi questa notizia in famiglia, nessuno, nemmeno gli amici, capirono la mia scelta. Nemmeno io la capivo razionalmente: è stata una scelta di pancia, sentivo di doverlo fare.
Chi ti ha dato ospitalità nei tuoi viaggi on the road?
Nelle città cercavo ospitalità sulla community 'couchsurfing' (chi offre il proprio divano per ospitare viaggiatori, ndr), ma ho fatto anche periodi dove dormivo nella natura, in tenda. Nel tragitto in autostop da Lione a Montpellier mi feci lasciare per una settimana in un bosco vicino a un fiume. Avevo le pastiglie per purificare l'acqua, mi sono arrangiato da solo. In quella zona, in quel periodo, ci furono acquazzoni pazzeschi, in due giorni cadde l'acqua anche doveva cadere in due mesi. Il fiume è straripato, così io presi tutto e, mentre stavo facendo l'autostop per farmi portare in città, mi imbattei in un bus abbandonato. In quel viaggio mi facevo chiamare 'Matte Supertramp' (il protagonista di 'Into the Wild' si faceva chiamare Alexander Supertramp, ndr). Mio padre, quando glielo raccontai, mi disse scherzando 'Ora basta con le analogie con 'Into the Wild' (il protagonista del film passò i suoi ultimi giorni in un bus abbandonato in Alaska, dove poi morì, ndr).
Passando le tue giornate in strada, ti è mai capitato qualcosa di brutto?
Certo. C'era chi derubava la mia custodia, oppure per due volte (la terza l'abbiamo bloccato) c'era qualcuno che pretendeva di avere il resto da me dopo avermi dato una banconota falsa. A Bruxelles mi sono imbattuto in una ubriacona molto molesta e violenta, che mi ha spaccato la strumentazione. Ad aiutarmi è intervenuta una comunità di senzatetto, che mi hanno fatto da guardia del corpo. Uno di loro ha fatto a botte con lei per difendermi. Io sono entrato nella loro comunità e giorno dopo giorno siamo diventati amici: uno di loro di recente mi ha scritto di essere uscito dall'etilismo, si sta facendo una nuova vita.
Che emozioni ti dà la strada che i posti chiusi non ti danno?
In strada vivi emozioni molto diverse, fermi i passanti, che fino al momento prima erano perfetti sconosciuti, ma guardandoti negli occhi ti fanno capire che avevano tantissimo bisogno di te e della tua musica per uscire dalla loro bolla di routine e pensieri, per poter entrare in contatto con la loro parte più intima. Sono regali straordinari.
Hai mai pensato di lasciare questo lavoro?
Nel primissimo viaggio avevo molti demoni nella mia testa, non ero certo che questa sarebbe diventata la mia strada, mi chiedevo sempre cosa stessi facendo, perché gli altri andavano avanti nella vita e io giravo l'Europa raccogliendo due spiccioli. Ero a Lione e avevo questi pensieri in testa, così chiesi alla strada di darmi una risposta. In quel momento mi venne incontro Rose, una bimba, e alla fine della canzone degli Smiths 'Please, let me get I want' lei mi ha chiesto se poteva abbracciarmi. Capii che nella vita avrei sempre avuto dubbi, ma che la strada era l'unico modo per esprimerli.
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