Di Chiara Dalla Tomasina

Bologna, 17 nov. (LaPresse) – “Quando ero piccolo sognavo di fare lo scrittore, non il cantautore. E alla fine ho fatto entrambi. Ho scritto il libro ‘Un matrimonio, un funerale, per non parlare del gatto’, che è una serie di racconti, alcuni dei quali erano già stati pubblicati da una piccola casa editrice di Pistoia, ma senza troppo successo. A Mondadori sono piaciuti e ne ho scritti cinque nuovi. Dopo un matrimonio e un funerale ho pensato che mancava qualcosa, così nel titolo ho associato anche un gatto: mi ha ispirato il libro di Jerome ‘Tre uomini in barca (per non parlar del cane)’ e così ho pensato a un gatto. Gli altri racconti sono di varia epoca. Quello dell’immigrato l’ho scritto per la prima volta nel 1960, quando facevo il giornalista alla Gazzetta di Modena: ho fatto due anni di giornalismo, soprattutto cronaca”. Lo ha raccontato Francesco Guccini alla conferenza stampa bolognese di ‘Se io avessi previsto tutto questo. Gli amici, la strada, le canzoni‘, la sua prima opera ‘monumentale’ del cantautore, che uscirà il 27 novembre.

PASSATO DA GIORNALISTA PRECARIO. “Quando lavoravo alla Gazzetta dell’Emilia, non succedevano molte cose di cronaca, nulla a che vedere con quei bei delitti di oggi. Non c’era il giorno libero, lavoravamo tutti i giorni, dalle tre del pomeriggio alle 20, a volte fino alle tre di notte. Ma era divertente. Io ero precario, mi davano 20mila lire al mese”. Francesco Guccini ha poi aggiunto: “Il secondo anno ho preso due settimane di ferie, e quando ho preso lo stipendio mi hanno dato solo 10mila lire, perché le ferie non erano pagate Un giorno incontrai per strada Alfio Cantarella, che allora faceva il fattorino, eravamo entrambi musicisti. Mi ha detto che cercavano un cantante e chitarrista per il suo gruppo, i Marino’s, e dato che avrei preso più o meno la stessa cifra ho mollato il giornalismo e mi sono unito a loro”.

UNIVERSITA’ E NIENTE EQUIPE 84. “Ho fatto il militare e quando sono tornato il gruppo dove suonavo si è sciolto. Pier Farri ha messo insieme due del gruppo de I gatti, ex gruppo Marino’s, e un altro musicista e ha creato gli Equipe 84. Io intanto mi ero iscritto all’università a Bologna e con grande sofferenza decisi di studiare e di non far parte degli Equipe 84, che intanto ebbero successo”. Lo ha raccontato Francesco Guccini durante la conferenza stampa.


FINALE DI AUSCHWITZ. “La prima canzone che ho scritto è stata ‘La canzone del bambino del vento’, che ora si chiama ‘Auschwitz’. Anche gli Equipe 84 l’hanno cantata, ma cambiando il finale: il mio era pieno di speranza, il loro no”.

NIENTE SIAE. “Non mi ero iscritto alla SIAE, quindi dalla canzone ‘Auschwitz’ non ho guadagnato una lira”, ha sottolineato Guccini alla conferenza stampa bolognese di ‘Se io avessi previsto tutto questo. Gli amici, la strada, le canzoni’. “Poi la SIAE accettò di farmi fare l’esame da melodista non trascrittore, che feci a Roma. In quel tempo avevo già scritto canzoni come ‘Noi non ci saremo’ e altri pezzi per i Nomadi. I pezzi del primo Lp ‘Folk beat’ non erano firmati da me perché non ero iscritto alla SIAE. Credo di aver venduto 6 copie dell’album, forse neanche. In seguito scrissi ‘Dio è morto’ nel ’66, e questa fu la prima canzone che depositai alla SIAE a nome mio”.

LA FATICA DI SCRIVERE. “Tre anni fa ho fatto l’ultimo disco, ‘L’ultima Thule’. Mentre i primi anni le canzoni mi uscivano con grande facilità e venivano quando ne avevano voglia, magari quando un fatto o un personaggio mi colpivano, ora faccio molta fatica a scrivere”. Il cantautore emiliano ha precisato: “Non mi son mai chiuso in casa per scrivere, ma tra il penultimo e l’ultimo disco sono passati cinque anni. Così ho deciso di chiudere. Non suono più, non ascolto nemmeno più musica, anche perché sento spesso sento canzoni inutili, fatte così tanto per fare”.

COMPUTER E PENNA. “Non ho mai smesso di scrivere, in questi anni ho sempre scritto racconti, prima con la macchina da scrivere, poi al computer. Ma per le canzoni non ho mai usato il computer: per scriverle ho bisogno di un foglio di carta e una penna, perché c’è un rapporto diretto, anche con i disegnini che metto di fianco mentre penso a una parola”.

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