Torino, 15 dic. (LaPresse) – “La più grande difficoltà di questo film non è stato realizzarlo, ma sarà vincere una diffidenza che c’è del pubblico italiano verso i fantasy”. Così Gabriele Salvatores parla de ‘Il ragazzo invisibile’, il suo nuovo film che sta portando in tour per l’Italia in attesa dell’uscita ufficiale in sala il 18 dicembre. “Capisco il motivo per cui non se ne fanno – aggiunge il regista, presentando il film al cinema Massimo di Torino dove oggi viene presentato in anteprima – si pensa che il cinema italiano non possa raccontare queste storie, che sarà un’americanata o una brutta copia”. L’obiettivo del film è proprio sfondare questo limite, afferma Salvatores. “In Italia non si fanno tanti film per famiglie, quelli definiti ‘young adult’, che possano unire un pubblico di generazioni diverse, e non si fanno per niente film fantasy”.
Così, da un’idea del produttore di Indigo, Nicola Giuliano, i tre sceneggiatori Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo hanno provato a sfatare il tabù raccontando la storia di un adolescente dalla vita normale e monotona che scopre di avere il potere dell’invisibilità, scrivendo “una storia che lavorasse sull’immaginario collettivo che in qualche modo ha accompagnato i 40enni di adesso, scrivendola con una sensibilità italiana o europea”.
“Il cinema ha almeno due anime importanti: da una parte i Lumière e il realismo – spiega Salvatores – dall’altra George Méliès che incarna il fantastico. Non credo ci sia un cinema giusto e uno sbagliato, anzi è bello quando i due riescono a dialogare ed integrarsi”. Personalmente, io propendo per la seconda anima, anche quando ho fatto film più ‘normali’ come ‘Marrakech Express’ o ‘Mediterraneo’. Lo porto dentro: il teatro da cui vengo e che ho fondato tanti anni fa si chiama teatro dell’Elfo non a caso”.
Salvatores non rinnega i film che ha fatto e “a cui sono molto affezionato”, ma ritiene che compito del cinema sia dare espressione al fantastico. “Andando avanti nella vita mi convinco sempre di più che la ragione non basta a spiegare la realtà. Oggi c’è la televisione e internet, dove la presa diretta sulla realtà è molto più precisa e puntuale. Allora forse il cinema dovrebbe provare a filmare l’invisibile, quello che immediatamente non vediamo. Mi piacerebbe continuare su questa strada”, dice. E non crede di essere il solo: “Piano piano si creano crepe, so che ci sono progetti di altri colleghi italiani che vanno in questa direzione: proviamo a vedere cosa succede”.
Salvatores motiva la scelta dell’invisibilità come super potere per il suo protagonista, Michele: “Lui non vola, non diventa una torcia umana, non distrugge palazzi, può solo sparire. Da quel che mi ricordo è un sentimento che si ha da ragazzi, più che il desiderio si ha la paura di essere invisibili. Hai questo senso di non appartenenza al mondo, non sai ancora chi sei, senti un potere che nasce ma ancora non sai controllarlo. Ed è curioso come nella società in cui viviamo, tutta incentrata sull’immagine, per cui se non ti si vede non esisti, lui per farsi notare dagli amici, dalla ragazzina che gli piace e dalla persone che ha intorno paradossalmente deve diventare invisibile”.
Protagonista del film è Ludovico Girardello, classe 2000, di Vittorio Veneto, che è stato scelto tra 1500 ragazzi. Un anno fa ha compiuto 13 anni proprio l’ultimo giorno di riprese, il 5 dicembre 2013. Biondo con gli occhi azzurri, arriva dal teatro e l’anno prossimo intende iscriversi al liceo teatrale. Sua madre sul grande schermo è la poliziotta Valeria Golino. Con loro, Fabrizio Bentivoglio, Christo Jivkov, Noa Zatta e Ksenia Rappoport. La storia è ambientata a Trieste, “fondamentale nel film, perché è una città non realistica, sospesa tra realtà e fantasia, una specie di Vienna affacciata sul mare, piena di fantasmi psicanalitici e letterari che si aggirano per le strade”. Salvatores ne spiega l’impatto scenografico: “Per la prima parte che è più quotidiana e normale, il bianco dei palazzi e dei lastricati delle piazze ha permesso di mettere i personaggi come figurine di un fumetto, stagliandosi sul fondo chiaro”. Per la seconda parte invece “man mano che si entra nel film i ritmi cambiano, cambia la musica e la fotografia diventa tutto più scuro. Lì abbiamo trovato al porto asburgico dell’impero una vera e propria città abbandonata, un set straordinario”. Infine, una parte ambientata in Russia è stata girata sull’altopiano del Carso.
L’esperienza con ‘Il ragazzo invisibile’ non finisce al cinema, ma si sviluppa in un progetto cross mediale: dal film nasce la graphic novel e il romanzo, che “Non sono la copia letterale del film. La graphic novel è il prequel, tutto quello che avviene prima, mentre il libro sviluppa una serie di personaggi secondari. L’idea – spiega il regista – è espandere un mondo, vedere se è possibile far nascere affetto per questo personaggio. Notizia di ieri è che il libro è già in ristampa, c’è già la seconda edizione”. Salvatores ricorda che “Già con ‘Nirvana’ avevamo provato a fare qualcosa del genere, non è solo questione di pubblicità, ma di dare strumenti diversi, perché non c’è più un pubblico solo, ma tanti pubblici e tante piattaforme”.
Le citazioni del genere di supereroi sono sparse in tutta la storia, a partire da Michele, che “legge fumetti e graphic novel, è attratto da quel mondo e ci casca dentro” spiega Salvatores. Un rispetto del genere che si sviluppa anche sulla conclusione, che apre lo spiraglio di un sequel. C’è un finale aperto “perché in questo genere cinematografico le storie non si chiudono mai proprio perché c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. L’idea era di rispettare questo tipo di archetipo, però è vero che pensandoci sarebbe divertente”. Ma se si farà dipenderà dal pubblico, ha concluso Salvatores. “I tre sceneggiatori hanno già scritto un trattamento per un sequel che a me piace molto: lui cresce, diventa più adulto e più cattivo. Ma questo non lo possiamo decidere noi, lo deve decidere il pubblico: se ci dirà che vale la pena di continuarlo lo faremo”.
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