Giorgia Meloni prima donna premier nella storia della Repubblica

Il governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni, entrato in carica il 22 ottobre 2022, il primo nella storia della Repubblica guidato da una donna, compie due anni e si avvia così al giro di boa della legislatura.

L’avvio e il decreto rave

Un esecutivo il cui primo provvedimento, che ha subito fatto discutere, è stato quello sui rave party: al termine di una festa con centinaia di giovani organizzata in un capannone nel Modenese per Halloween, fatta finire in anticipo dall’intervento delle forze dell’ordine su iniziativa del ministro dell’Interno appena insediato, Matteo Piantedosi, sul tavolo del Consiglio dei ministri arriva il decreto Rave con la previsione della reclusione da 3 a 6 anni e della multa da 1.000 a 10.000 euro, “se il fatto è commesso da più di 50 persone allo scopo di organizzare un raduno dal quale possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica”.

Un provvedimento che ha subito scatenato le proteste delle opposizioni, dando avvio a uno scontro che prosegue ormai da due anni su tutti i grandi temi e spesso anche sul metodo adottato dal governo, quello della decretazione d’urgenza, con il Parlamento (è l’accusa della sinistra) ridotto a fare da ‘passacarte’.

Le grandi riforme

Le tre riforme principali alle quali il governo sta lavorando dal suo insediamento rispecchiano i programmi e le ‘bandiere’ dei tre principali partiti che compongono la maggioranza. C’è il Premierato, che Giorgia Meloni ha detto in più occasioni di considerare “la madre di tutte le riforme, e che punta, nelle intenzioni dell’esecutivo, a dare più stabilità ai governi futuri e più potere decisionale ai cittadini con l’elezione diretta del premier, ma che le opposizioni contestano per l’idea dell”uomo solo al comando’ (o della donna) e perché, sostengono, indebolirebbe il ruolo del Presidente della Repubblica.

La seconda, da sempre obiettivo della Lega, è l’Autonomia differenziata, che riguarda 23 materie che le Regioni potranno richiedere come esclusive ed è già più avanti nell’iter: approvato dal Parlamento, il ddl Calderoli deve ora essere implementato con la definizione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) e con le intese con le singole regioni. Una riforma ribattezzata dalle opposizioni ‘spacca Italia’ e che desta perplessità anche tra le fila della maggioranza: in particolare il vicepremier forzista Antonio Tajani ha a più riprese chiesto una revisione delle materie, con alcune, su tutte il commercio estero, che a suo parere non possono essere affidate alle Regioni.

La terza riforma alla quale lavora l’esecutivo, da sempre cavallo di battaglia di Forza Italia, è quella della giustizia. In cantiere c’è l’annosa questione della separazione delle carriere tra giudici e pm, osteggiata con forza dalla sinistra. Sono invece già state approvate alcune norme che cambiano il funzionamento della giustizia, come la legge Nordio, con cui si abolisce il reato di abuso d’ufficio e si ridisegnano le procedure di appello in primo grado avviate dai pubblici ministeri contro le assoluzioni, nonché l’utilizzo e la diffusione delle intercettazioni, o il recente decreto Carceri.
Tra le altre grandi sfide affrontate quella dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, finora affidata al ministro Raffaele Fitto, che a breve dovrebbe lasciare l’esecutivo per andare a lavorare sullo stesso dossier a Bruxelles.

Il nodo migranti

Il nodo della gestione dell’immigrazione è uno dei più importanti, con politiche fin dall’inizio più restrittive e il discusso accordo con l’Albania, proprio in questi giorni al centro della polemica politica. Oltre a questo, il governo ha emanato tre decreti, tutti convertiti in legge: il decreto Ong, il decreto Cutro e il decreto Migranti, con regole più stringenti sulle Ong e per la costruzione di nuovi Cpr. Senza considerare il Piano Mattei per lo cooperazione allo sviluppo dell’Africa e gli accordi presi con i Paesi dell’Africa da cui provengono i migranti (a partire da quelli con la Tunisia).

Proprio il tema dei migranti è al centro del processo che riguarda, a Palermo, il vicepremier Matteo Salvini, per il caso Open Arms che lo coinvolse quando era ministro dell’Interno nel governo Conte 1: il leader della Lega è accusato anche di sequestro di persona e la sentenza è attesa a dicembre; l’accusa ha chiesto una condanna a sei anni e un risarcimento di un milione di euro.

La politica internazionale

La politica internazionale del governo Meloni si è contraddistinta, fin da suo insediamento, per la continuità con il posizionamento italiano rispetto ai principali dossier. Sulla guerra in Ucraina, la premier ha costantemente ribadito il sostegno politico e militare a Kiev, condannando l’aggressione russa.

Sulla crisi in Medioriente, l’esecutivo ha invece sempre stigmatizzato l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 difendendo il diritto all’esistenza di Israele, pur richiamando Tel Aviv al rispetto dei diritti umani a Gaza e sostenendo gli sforzi della comunità internazionale per un processo che arrivi alla creazione di ‘due popoli, due Stati’ (anche se si è astenuto sul riconoscimento dello Stato di Palestina in sede Onu). Posizioni che la premier Meloni ha ribadito anche nell’ultimo anno alla guida del G7, di cui l’Italia ha la presidenza di turno fino al 31 dicembre 2024, che ha visto il suo momento più importante con la riunione dei leader a Borgo Egnazia, in Puglia.

Qualche tensione in più si è registrata invece in sede di Unione europea. Dopo le elezioni che hanno rinnovato il Parlamento, infatti, la presidente del Consiglio e il suo partito Fratelli d’Italia hanno deciso di non appoggiare la commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen, pur chiedendo per l’Italia un commissario di peso: la scelta è caduta sul ministro per gli Affari europei e il Pnrr Raffaele Fitto, che è stato designato da von der Leyen come vicepresidente esecutivo della commissione con delega all’attuazione dello stesso Pnrr.

Ministri in difficoltà

Il governo ha perso finora un solo ministro, il responsabile della Cultura Gennaro Sangiuliano, che ha ceduto il posto ad Alessandro Giuli dopo le dimissioni a causa di una vicenda legata alla mancata nomina come consulente e alle spese per i viaggi dell’imprenditrice Maria Rosaria Boccia, con la quale lo stesso Sangiuliano ha poi ammesso di aver avuto una relazione.

Meno conseguenze sull’esecutivo ha invece avuto finora il processo legato ad alcune irregolarità sulla cassa integrazione Covid in una delle aziende che coinvolge la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, il cui rinvio a giudizio potrebbe però mettere in imbarazzo la premier Meloni e condurre alle dimissioni della ministra.

Nel mirino delle opposizioni è poi spesso finito il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che è anche ex cognato della premier. In particolare quando, in ritardo per un evento istituzionale dove era atteso, chiese di fermare un treno Frecciarossa nella stazione di Ciampino (non prevista nell’itinerario) per poter proseguire in auto fino a Napoli. I treni sono un tema che ritorna per questo esecutivo, con numerosi problemi e spesso gravi ritardi sulla linea dell’Alta Velocità che hanno tirato al centro della polemica politica il ministro competente, Matteo Salvini.

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