Giovedì atteso il via in Senato. L'Europa chiede la riduzione del 25% della durata media dei processi

Il via libera definitivo alla riforma del processo penale è atteso per giovedì mattina, ma il Senato ha approvato mercoledì senza intoppi le fiducie poste dal Governo sui due articoli del testo. Si tratta- per gran parte – di una legge delega, che il Governo dovrà attuare con uno o più decreti legislativi entro un anno dall’entrata in vigore.

L’obiettivo è quello di rispettare gli impegni presi con l’Europa, ossia la riduzione del 25% della durata media dei processi per il penale. L’Italia, infatti, è il primo Paese nell’area del Consiglio d’Europa, per condanne per irragionevole durata dei processi: 1202 condanne dal 1959 (data di avvio di attività della Corte di Strasburgo) ad oggi; al secondo posto, la Turchia doppiata con 608, e poi Francia (284), Germania (102) e GB (30), Spagna (16). In particolare – tra le altre cose – cambia la disciplina sulla prescrizione (di fatto abolita con la riforma Bonafede), si crea un regime speciale per i reati di mafia e terrorismo, si rimodulano i tempi di durata massima delle indagini, viene introdotto il principio della ‘giustizia riparativa’, si rafforzano le pene sostitutive delle pene detentive brevi, si rimodulano i termini di durata massima delle indagini rispetto alla gravità del reato, si prevede l’arresto obbligatorio in flagranza, per chi viola il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle vittime di maltrattamenti o stalking.

RIFORMA DELLA PRESCRIZIONE – La riforma riguarda solo i reati commessi dopo 1 gennaio 2020 ed entra in vigore gradualmente, per consentire agli uffici giudiziari di organizzarsi. Si prevede quindi una norma transitoria, fino al 2024. Per i primi 3 anni, entro il 31 dicembre 2024, i termini saranno più lunghi per tutti i processi (3 anni in appello; 1 anno e 6 mesi in Cassazione). Con possibilità di eventuale proroga (1 anno in appello, 6 mesi in Cassazione), per un totale, fino a 4 anni in appello (3+1 proroga); e fino a 2 anni in Cassazione (1 anno e 6 mesi + 6 mesi di eventuale proroga) per tutti i processi in via ordinaria. Ogni proroga deve essere motivata dal giudice con ordinanza, sulla base della complessità del processo, per questioni di fatto e di diritto e per numero delle parti.

Contro l’ordinanza di proroga, sarà possibile presentare ricorso in Cassazione. Di norma, è prevista la possibilità di prorogare solo una volta il termine di durata massima del processo. Per alcuni gravi reati, è previsto un regime diverso: per associazione di stampo mafioso, terrorismo, violenza sessuale e associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti non c’è un limite al numero di proroghe, che vanno però sempre motivate dal giudice sulla base della complessità concreta del processo.

Per i reati con aggravante del metodo mafioso, oltre alla proroga prevista per tutti i reati, ne sono previste come possibili ulteriori due (massimo 3 anni di proroga) sia in appello che in Cassazione. Per 416 bis.1 (aggravante mafiosa) fino a due proroghe ulteriori, oltre a quella prevista per tutti i reati. Quindi nel complesso fino a 3 proroghe di un anno in appello. Ciò significa massimo 6 anni in appello e massimo 3 anni in Cassazione nel periodo transitorio (fino al 2024), che diventano massimo 5 anni in appello e massimo 2 anni e mezzo in Cassazione a regime (dal 2025). I reati puniti con l’ergastolo restano esclusi dalla disciplina dell’ improcedibilità. Dopo il 2024, a regime, in appello, i processi possono durare fino a 2 anni di base, più una proroga di un anno al massimo. In Cassazione, 1 anno di base, più una proroga di sei mesi.

Binario sempre diverso, per reati di mafia, terrorismo, violenza sessuale e mafiosa, senza limiti di proroghe, ma sempre motivate dal giudice e sempre ricorribili per Cassazione. E binario diverso per reati con aggravante mafiosa (416bis .1/comma 1), con massimo 2 proroghe in appello (ciascuna di un anno e sempre motivata) e massimo 2 proroghe in Cassazione (ciascuna di 6 mesi e sempre motivata).

TERMINI DI DURATA DELLE INDAGINI – Rimodulati i termini di durata massima delle indagini rispetto alla gravità del reato. In caso di stasi del fascicolo, si prevede l’intervento del gip, che induca il pm a prendere le sue decisioni. Discovery: alla scadenza del termine di durata massima delle indagini, fatte salve le esigenze specifiche di tutelare il segreto investigativo, si conferma il meccanismo di discovery degli atti, già previsto nel ddl Bonafede. È garanzia per l’indagato di non restare sotto indagine troppo a lungo; e garanzia per la vittima di dare un impulso al fascicolo fermo, anche per evitare la prescrizione del reato.

CRITERI DI PRIORITA’ – Si prevede che gli uffici del pubblico ministero, per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, nell’ambito di criteri generali indicati con legge dal Parlamento, individuino priorità trasparenti e predeterminate, da indicare nei progetti organizzativi delle Procure, da sottoporre al CSM.

VIOLENZA DI GENERE E ARRESTO IN FLAGRANZA – La legge propone di estendere la portata delle norme introdotte con la legge sul Codice rosso, in tema di violenza domestica e di genere (l. n. 69/2019) al tentato omicidio e, in genere, ai delitti commessi in forma tentata (es. violenza sessuale). Si tratta di modifiche imposte dall’esigenza di conformarsi al diritto UE. Si prevede poi l’arresto obbligatorio in flagranza, per chi viola il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima, ad esempio in caso di maltrattamenti o stalking. Ora non era previsto l’arresto obbligatorio e quindi chi violava il divieto restava in libertà, con maggiore rischio di reiterare il reato).

INDAGINI PRELIMINARI E UDIENZA PRELIMINARE – Il pm chiede il rinvio a giudizio, solo quando gli elementi acquisiti consentono una ‘ragionevole previsione di condanna’. Il punto di partenza è la percentuale molto alta di assoluzione in primo grado, pari oggi a circa il 40%. Si propone di limitare la previsione di udienza preliminare a reati di particolare gravità e, parallelamente, di estendere le ipotesi di citazione diretta a giudizio. Il giudice dovrà pronunciare sentenza di non luogo a procedere, quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna.

DIGITALIZZAZIONE E PROCESSO PENALE TELEMATICO – La delega mira a rendere più efficiente e spedita la giustizia penale attraverso la digitalizzazione e le tecnologie informatiche; il settore penale è più indietro rispetto al settore civile. Si prevede tra l’altro che il deposito degli atti e le notificazioni possano essere effettuate per via telematica, con notevole risparmio di tempi.

APPELLO – Confermate le proposte del ddl Bonafede, quanto ad alcune limitate ipotesi di inappellabilità delle sentenze di primo grado (es proscioglimento in caso di reati puniti con pena pecuniaria). Resta in via generale la possibilità – tanto del pm, quanto dell’imputato – di presentare appello contro le sentenze di condanna e proscioglimento. Si recepisce un principio giurisprudenziale (SU Galtelli, 2017): inammissibilità dell’appello per aspecificità dei motivi.

PENE SOSTITUTIVE DELLE PENE DETENTIVE BREVI – Con la riforma si trasformano alcune misure alternative, attualmente di competenza del Tribunale di Sorveglianza, in sanzioni sostitutive delle pene detentivi brevi, direttamente irrogabili dal giudice della cognizione. Le pene sostitutive sono delle vere e proprie pene, anche se non comportano la detenzione in carcere: semilibertà, detenzione domiciliare, lavori di pubblica utilità e pene pecuniarie. Si tratta di pene non sospendibili.

STOP A PROCESSI ‘BAGATTELLARI’ – Per evitare di celebrare processi per fatti bagatellari (come nel caso del furto di una melanzana da un campo, che ha occupato anche la Cassazione), si estende l’ambito di applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., che nella prassi ha avuto una felice applicazione, specie in fase di archiviazione. A tal fine si interviene in due direzioni: a) si prevede come limite all’applicabilità della disciplina dell’articolo 131-bis del codice penale, in luogo della pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, sola o congiunta a pena pecuniaria (si potrà applicare la disposizione, ad esempio, al furto in supermercato di generi alimentari di modico valore); b) si delega il Governo ad ampliare conseguentemente, se ritenuto opportuno sulla base di evidenze empirico-criminologiche o per ragioni di coerenza sistematica, il novero delle esclusioni, cioè delle ipotesi in cui, ai sensi del secondo comma dell’articolo 131-bis del codice penale, l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità. Esclusi i reati di voiolenza contro le donne previsti dalla convenzione di Instanbul. c) si prevede che venga dato rilievo alla condotta susseguente al reato (es., alla riparazione del danno) ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuità dell’offesa.

GIUSTIZIA RIPARATIVA – Si delega il Governo a disciplinare in modo organico la giustizia riparativa, nel rispetto di una direttiva europea (2012/29/Ue) e nell’interesse sia della vittima che dell’autore del reato.

Il percorso di riconciliazione tra vittima e reo – sempre su base volontaria – viene valorizzato nelle diverse fasi del processo e dell’esecuzione della pena.

Si prevede l’accesso ai programmi di giustizia riparativa in ogni fase del procedimento, su base volontaria e con il consenso libero e informato della vittima e dell’autore e della positiva valutazione del giudice sull’utilità del programma in ambito penale. Si prevede la ritrattabilità del consenso, la confidenzialità delle dichiarazioni rese nel corso del programma di giustizia riparativa e la loro inutilizzabilità nel procedimento penale.

Prevede che l’esito favorevole dei programmi di giustizia riparativa possa essere valutato sia nel processo penale che in fase esecutiva. Un fallimento del programma non produce effetti negativi per autore e vittima.

Si disciplina la formazione dei mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa; si prevede la formazione e l’accreditamento di mediatori esperti, presso il Ministero della Giustizia.

OSSERVATORIO SUGLI ARRETRATI – Si prevede che un apposito Comitato tecnico scientifico istituito presso il Ministero della Giustizia ogni anno riferisca in ordine all’evoluzione dei dati sullo smaltimento dell’arretrato pendente e sui tempi di definizione dei processi. Il Comitato monitora l’andamento dei tempi nelle varie Corti d’appello e riferisce al Ministero, per i provvedimenti necessari sul fronte dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi. I risultati del monitoraggio saranno trasmessi al Csm, per le valutazioni di competenza.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata